- Serve un dentista – risposi.Dopo un estremo tentativo, la macchina elettrica scatarrò l’umidità della notte e si mise in moto.
Partii a tavoletta, inserendomi nella corsia di viabilità rapida. L’auto ci mise un po’ ad accelerare. Non era uno di quei vecchi modelli con motore a scoppio di dieci anni prima. Dapprincipio, i palazzi d’acciaio ultraleggero, ai lati del viale, mi apparvero come birilli da bowling messi in fila indiana, ma poco dopo sembravano canini stagliati contro il palato azzurro del cielo. Stavo scivolando nella paranoia. Meglio i birilli.
Superai due incroci, infischiandomene dei limiti di velocità. Il dolore mi faceva impazzire e il mio solo pensiero era di arrivare il più presto possibile a destinazione.
Azzeccai un semaforo rosso. Mi lasciai alle spalle lo stridore di una frenata seguìto da uno strombazzare rabbioso.
Il navigatore multifunzione si attivò.
- Gentile utente – disse. – Lei ha infranto l’articolo 728 del codice stradale. Voglia premere il tasto Due per conciliare la contravvenzione ed evitare così il raddoppio dell’obolo. L’importo verrà detratto dal conto corrente dell’intestatario del veicolo. Al contrario, secondo la Legge sulla Privacy…
Schiacciai il pulsante richiesto ed esclamai: - Va’ all’inferno!
- Grazie, gentile utente.
Dopo alcuni isolati scorsi il centro medico. Era impossibile sbagliare. Un edificio tozzo e candido, simile nella forma ad un enorme molare, con le radici immerse in un’oasi di verde. Sintetica, naturalmente. Posteggiai sotto l’arco di una radice e raggiunsi l’ingresso.
Nella hall mi guardai all’intorno. Spaziosa e vuota come le tasche di un impiegatuccio a fine mese. Alle pareti grandi arazzi moderni blu oltremare, pavimento scuro a losanghe verde pallido. Lessi il tabellone con le indicazioni, tenendo una mano sulla guancia. Odontoiatria d’Urgenza, Secondo Piano.
Salii su un enorme ascensore, tutto specchi. Mi guardai attorno e, per un assurdo scherzo della mente, sembrò che il dolore aumentasse in funzione di quanti me stesso scorgevo sui pannelli riflettenti.
Giunsi al piano. La porta di fronte si aprì ed entrai in un ambiente ridotto ai minimi termini. C’era una solitaria scrivania ergonomia tipo ospedale. Nient’altro.
- Lei è il paziente numero quarantatré – annunciò un altoparlante nascosto nel soffitto. Udii un brusio, la superficie del banco si dischiuse ed apparve un terminale.
- Digiti i suoi dati personali e il motivo della richiesta – continuò l’operatore. – Le ricordiamo che, per la Legge Federale sulla Privacy, ogni sua volontaria informazione sarà usata da questo Istituto senza restrizioni, come da lei preventivamente accettato.
Scrissi quanto mi era stato richiesto cercando di combattere le fitte sempre più intense. Vollero sapere anche di eventuali malattie infettive in corso, cardiopatie, shock anafilattici pregressi, allergie conclamate, eccetera. Risposi negativamente a tutte le domande del questionario. Ad ogni simbolo di spunta elettronica, l’invisibile martello che aveva deciso di prendersela con il mio dente aumentava la sua potenza. Alla fine delle schermate apparve:
“In forza della Legge Federale sulla Privacy… il sottoscritto accetta senza riserve di concedere al Centro Odontoiatrico l’uso della propria immagine… sottoscrive, inoltre, l’assenso a ricevere e-mail, MMS, XMMS, pubblicità in ogni sua forma… Toccate sullo schermo la casella SÌ per confermare, NO per annullare la visita.”
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