Elegante, raffinato, post ­ tecnologico, Thomas in Love andrebbe visto in francese con i sottotitoli per comprendere fino in fondo lo spirito di un personaggio, reso dopo mesi di prove dalla voce del protagonista Benoit Verhaert. Una pellicola tutta girata in soggettiva soggettiva in cui il Thomas Thomas protagonista, si relaziona con il mondo esterno solo tramite un videotelefono e una tuta per il sesso virtuale. Un film di fantascienza a tutto tondo, perché la società di Thomas Thomas è dominata da una fantomatica compagnia di assicurazione che paga le spese della sua malattia. Già, perché Thomas è agorafobico e non può ­ e certamente nemmeno vuole ­ uscire da quella casa prigione in cui si è volontariamente rinchiuso. L'uomo chatta in continuazione con un mondo esterno che non sembra in fondo nemmeno interessargli, vivendo una vita spartana di cibi portati a casa sua ogni tre mesi, tra cui lo yogurt bulgaro di cui va pazzo. Ma la vita di Thomas è anche condotta secondo i canoni di un'esistenza grama in cerca d'amore, senza la possibilità di incontrare nessuno e convincendo qualche donna conosciuta per caso, solo a fare del sesso virtuale ­ peraltro in quell'epoca ­ già fuori moda. Thomas in Love è un film sulla forza dell'amore che riesce a cambiare le persone in un futuro fantascientifico dove il mondo sterilizzato e dominato dalle assicurazioni e dagli enti di assistenza garantisce a tutti una pace digitale nelle proprie abitazioni. Un film sul controllo, presentato alla scorsa mostra del cinema di Venezia, in cui il tema orwelliano della dominazione viene aggiornato alla nostra epoca con l'assenza spaziale e nominale del nemico. Il grande fratello del mondo di Thomas è anonimo, un essere collettivo che si ciba dell'efficienza burocratica di tutti. Piccolo film girato in digitale a basso costo, Thomas in Love è una pellicola ironica e divertente che nella sua satira sociale, riesce a diventare perfino preveggente. Thomas Thomas è il simbolo della ribellione alle proprie paure e idiosincrasie, a ciò che il mondo vorrebbe farci diventare, trasformandoci in fantaccini di un esercito di armati di telecomando, videocamera e mouse, chiusi nelle nostre abitazioni o in uffici da cui non è bene uscire prima delle dieci di sera per tornarvi baldanzosi alle otto del mattino. La ribellione di Thomas a se stesso coincide con quello che noi dovremmo tentare di non essere mai, servi di un'idea altrui tanto mediocre e debole da risultare ­ ahimé ­ quasi credibile e perfino condivisibile. Questo piccolo film belga è la dimostrazione (così come lo era stato Cube, un paio di anni fa) che il cinema di fantascienza non deve essere necessariamente multimiliardario, perché il germe dell'idea, della preveggenza e della critica che la fantascienza contiene dentro di sé, può lievitare meravigliosamente anche in piccoli terreni fertili. Un film da vedere, perché pur non essendo spettacolare o straordinario, resta bene impresso nella nostra mente come un racconto interessante e coinvolgente, che mette tutti noi di fronte all'insinuante idea che il futuro, forse, possa non essere così bello come la New Economy si ostina a volercelo presentare.