Tutto questo non significa che io stia per morire a breve e mi sia rassegnato all’idea. Nemmeno per sogno. L’ho già detto, ho buone probabilità di salvare la pelle e di crepare più avanti per tutt’altri motivi. Vedremo. Significa però che ho preso l’annuncio del tumore con robusto spirito sportivo, scherzandoci su, tenendo allegri non di rado medici e infermiere del day hospital d’oncologia di Piacenza (un posto d’eccellenza, lo garantisco) che al momento è diventato la mia seconda casa. Sto anche elaborando idee per un articolo (o un libro, chi lo sa) da intitolare I lati buoni del tumore non terminale. E ne ho già trovati alcuni. Potersi concedere il lusso di non lavorare, per dirne uno. Non essere costretti alle incombenze più noiose dell’esistenza quotidiana, perché sei malato, e per amor di dio non devi fare sforzi. Dimagrire in maniera significativa (negli ultimi tempi ho perso una decina di chili) senza sborsare soldi per il dietologo e senza fare sacrifici perché l’appetito ti passa da solo, non mangi più o quasi, mica devi stare a contare le calorie. Ne godono anche colesterolo e trigliceridi, en passant. Vi pare poco?
Sono convinto che al mio atteggiamento rilassato contribuisca molto l’antica pratica della fantascienza, letta e amata sin dall’infanzia, tradotta e scritta dalla remota gioventù. Quando sei abituato a guardare le cose da una prospettiva cosmica, a giocare con il tempo e lo spazio e con creature aliene, cosa mai potrà significare un modesto incidente, per quanto di natura cancerogena? Men che nulla. Ragazzi, portate avanti la fiaccola. La fantascienza non deve morire. In un mondo immerso in una grettezza terrificante, un mondo dove migliaia di bambini vengono avvelenati per aumentare i profitti, un mondo dove ci si scanna per il trionfo dell’unico vero dio, e chissà mai quale sarà, eccetera eccetera, continuate a guardare più avanti. A tenere gli occhi aperti. Scrutate i cieli, come concludeva quel vecchio film. A guardare il terreno sotto i piedi son buoni tutti. Per guardare in alto occorrono occhi più acuti.
E okay, questo è uno dei miei editoriali più viscerali dall’inizio del mondo a oggi. Se ho irritato o rattristato qualcuno, chiedo scusa. Ma onestamente, di cosa cavolo volete parli nel periodo che sto vivendo? Di estetica letteraria? Per favore. E non sono stato deprimente, giusto? Odierei esserlo.
C’è un altro lato buono della situazione al quale ho accennato all’inizio e che voglio tornare a sottolineare. Questo numero di Robot sarà per me una sorpresa pressoché assoluta. Quando mi arriverà, lo aprirò con la stessa irruenta gioia che provavo da ragazzo ogni volta che trovavo in edicola Galaxy o Galassia o Gamma o Urania o Futuro o quel che volete voi: non sapere cosa mi attende nelle pagine che sto per leggere. Essere vergine, nella speranza di avere incontrato l’amante giusto per una raffinata esperienza dei sensi. E chi meglio del caro vecchio Robot?
Adesso sono un po’ stanchino. Vogliate perdonare, chiudo l’editoriale su una lunghezza lievemente inferiore alla consueta. Poche righe, una mezza cartella. Silvio Sosio rimedierà in qualche modo. Se no, vabbe’, pagherete uno spazio bianco come fosse pieno di parole. Abbiate pietà dell’anima mia.
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