La Guida galattica di Adams si inserisce in una vasta tradizione della fantascienza umoristica. Quella che parte da Fredric Brown con il suo Assurdo universo (1949) e continua con Il difficile ritorno del signor Carmody di Robert Sheckley (1968), dove forse Adams ha tratto la figura del suo protagonista Arthur Dent, con Fabbricanti di universi di Philip J. Farmer (1965-1977), e con le Memorie di un viaggiatore spaziale di Stanislaw Lem (1971). Tutte opere in cui la fantascienza classica della space opera viene rovesciata e irriverentemente parodiata.
Ma non bisogna credere che la saga della Guida galattica per gli autostoppisti non abbia chiavi di lettura al di fuori della semplice avventura comica. Adams si dimostra intelligente conoscitore e caricaturista di tutti i lati più grotteschi e tragicomici dell’umanità: in questo senso il lungo viaggio di Arthur Dent ha dei parallelismi anche con altre opere della letteratura non di genere e soprattutto con Il viaggio di Gulliver nel romanzo di Jonathan Swift. La differenza tra le due opere è che la Guida galattica risulta tutto sommato condiscendente verso le debolezze umane, diversamente dalla satira di pura condanna di Swift. Piuttosto perciò la Guida galattica è un nuovo, moderno “Elogio della Pazzia”, in cui Adams, come Erasmo da Rotterdam molti secoli prima, celebra la potenza dell’assurdità e della follia umana come motore e causa prima di tutto l’universo.Considerando tutto ciò, non si fatica a comprendere perché quello che poteva sembrare un lavoro molto semplice – ossia trasformare in film un’opera tutto sommato umoristica, facendone una spassosa commedia senza troppe pretese – si è rivelato ben presto un compito improbo e al di là della portata di chiunque. Il tentativo di garantire la serialità anche alla Guida diretta da Jennings c’è al termine del film, quando i protagonisti si imbarcano nuovamente sulla Cuore d’Oro pronti a riprendere il viaggio nella galassia. Restano infatti da sciogliere diversi nodi che lasciano aperte le porte a eventuali seguiti, del resto già scritti da Adams: nell’ultima scena del film gli eroi sfrecciano verso il Ristorante al Termine dell’Universo che è anche il titolo del secondo capitolo della saga della “Guida”. Ma lo scarso successo del film (tra l’altro del tutto ignorato in Italia, dove è uscito in piena estate in pochissime sale) ha impedito di proseguire la serie, così che per la prima volta nella sua storia una trasposizione della “Guida” non si è trasformata in un grande successo. Forse sono cambiati i tempi e l’umorismo di Adams non diverte più le nuove generazioni troppo smaliziate. Certo è che molta della filosofia dell’autore inglese deriva da un bagaglio culturale che affonda le sue radici nei fenomeni di massa degli anni Sessanta e Settanta. Realizzare un film come questo nel 2005 è stato senz’altro un rischio e un errore, ma tutto sommato può essere goduto come l’estremo saluto a un autore che più di molti altri ha probabilmente colto la vera essenza dell’avventura umana, salutando questo mondo come egli fa fare ai delfini nella Guida galattica: con un semplice “addio, e grazie per tutto il pesce!”.
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