Nel libro figura i primi dettagli da una ricerca internazionale sulle letture (in senso lato) degli adolescenti che stai conducendo da un po’: ci dai un quadro generale?
Nel 2006 il politologo e storico francese Jean-Marie Bouissou ha messo insieme un gruppo di ricerca formato da studiosi di vari Paesi, e per l’Italia ha chiesto a me di fare da referente, visto che conosceva le mie principali pubblicazioni. È stato costruito un questionario, che abbiamo tradotto in varie lingue, e io nell’inverno 2006-2007 l’ho distribuito, per l’Italia, in una ventina di siti internet specializzati in manga, con la collaborazione dei vari webmaster. Operazioni analoghe sono state fatte anche per la Francia, la Svizzera e la Germania. In futuro estenderemo l’indagine anche ad altri Paesi. I dati sono stati analizzati (e sono ancora in corso d’analisi, via via più approfondite) e da essi stiamo ricavando diversi articoli e saggi per libri, e comunicazioni che sono state presentate in varie conferenze internazionali. Nel mio libro appaiono i primissimi risultati parziali dell’indagine italiana. Non sono per il momento analisi sofisticate, sono un colpo d’occhio sul mondo dei fan più attenti e coinvolti. Il nostro gruppo di ricerca si chiama “Manga Network” e si stanno unendo a noi vari altri studiosi di altre parti del mondo e presto collaborerà con noi un altro interessante gruppo di ricercatori, che ha base in Inghilterra. Si tratta di discorsi tutti in divenire e quindi mi pare prematuro parlarne in modo più esteso.
Sembra di capire che avresti potuto scrivere ancora...
Il libro non è lungo 664 pagine perché sono prolisso e perché avrei magari voluto scrivere di più, ma semmai perché ho cercato di inserirvi le cose importanti che andavano scritte per portare un po’ più in là il dibattito e le conoscenze sulla pop culture giapponese nei contesti occidentali. Penso che fra tre anni sarà il momento di scrivere qualcos’altro, a partire esattamente dal punto in cui mi ero interrotto con Il Drago e la Saetta. Dovrò approfondire i discorsi riguardanti le politiche culturali e la politica internazionale del Giappone in quella terza fase che ho ipotizzato come evoluzione delle prime due che danno il titolo al libro. Ovviamente lo sto già facendo, in altre ricerche e articoli in corso di preparazione.
Ma secondo te, come mai la fiction nipponica ha sempre avuto così tanto successo nel Bel Paese?
In effetti l’Italia è stato il Paese occidentale in cui l’immaginario audiovisivo giapponese, dalla seconda metà degli anni Settanta al termine degli anni Novanta, ha assunto la posizione di maggiore centralità. Ho sottolineato occidentale perché lo scenario asiatico è di gran lunga più complesso con riguardo alla pervasività dell’immaginario pop nipponico. L’espansione in Occidente della J-pop è avvenuta dopo, e in misura meno massiccia, rispetto a quanto avvenuto nell’Asia orientale e nel Sud-Est asiatico a partire già dagli anni Sessanta. Negli Stati Uniti, dove pure alcune serie animate giapponesi sono arrivate dal 1963, gli anime sono sempre stati un prodotto praticamente esoterico, alimentato solo da una base di fan quasi “clandestina” e solo in anni recenti gli anime e i manga hanno conquistato uno spazio crescente nei discorsi pubblici sulla cultura giovanile – e non più solo tale – e vendite considerevoli nelle librerie di varia.
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