È il 1972, una grigia mattina autunnale spazzata dal vento. Ma Nolan Bushnell è comunque allegro, e si diverte a sognare ad occhi aperti mentre lascia per sempre i viali dell’Università dello Utah. Sta andando da Ted Dabney, suo amico di sempre e ora anche socio in affari.
Sotto il braccio ha un voluminoso fascicolo legato con spago di nylon: schede perforate, spezzoni di nastro magnetico, appunti in codice binario e assembler evoluto. Lì c’è tutta l’esperienza che Nolan ha accumulato negli anni trascorsi tra i massicci terminali dei calcolatori dell’università. Gli studi sul mitico Spacewar che geni del MIT avevano sviluppato appena nove anni prima, che lui ha sviscerato in decine di notti insonni. I suoi progetti, le aspettative. Mentre agguanta al volo un autobus che lo porta in centro, Nolan ripassa mentalmente il discorso che lui e Ted dovranno fare alla banca, con la speranza di strappare un finanziamento. La struttura della società che intendono creare è già chiara, come il percorso che dovrà intraprendere. Diventerà la compagnia leader del futuro settore dell’intrattenimento videoludico. Si chiamerà ATARI.
Verso la metà degli anni Venti la Grande Depressione è ancora soltanto un incubo nascosto tra le pieghe del sogno americano. Nei parchi di divertimento delle grandi città iniziano a comparire le prime macchine da gioco: sono cassoni di legno dalla forma tozza e sgraziata, ricoperti di graffiti colorati e scritte altisonanti. Da queste macchine escono previsioni per il futuro, melodie interpretate con meccanica precisione, sagome di cartone a cui sparare con palline di sughero. Pochi anni più tardi, svegliatisi dall’incubo, i padroni dei parchi giochi lanciano un nuovo tipo di macchina con un gioco chiamato Pinball; basta colpire una pallina metallica con due leve, manovrate da due pulsanti posti ai lati. L’obiettivo è far rimbalzare la pallina il più a lungo possibile. Tutto questo al costo di una semplice monetina, con la quale si acquista un gettone. Sono le macchine coin operated: il loro soprannome, coin-op, entrerà nel linguaggio comune dei futuri decenni.
Nel 1958, Willy Higinbotham riprogramma l’elettronica di un comune oscilloscopio da laboratorio per creare un rudimentale gioco da tennis, in cui il segnale pulsante viene fatto rimbalzare da un lato all’altro del display utilizzando le manopole di regolazione dell’intensità. Il motivo di tutto ciò? Assolutamente nessuno: Willy è semplicemente incuriosito dalle potenzialità che i nuovi circuiti a stato solido sono in grado di esprimere. E magari è anche un po’ annoiato. Forse intuisce di avere inventato il primo prototipo di videogioco; in realtà ha inventato il primo prototipo di videogiocatore.
Nel 1962, a Cambridge, A.S. Douglas pubblica la sua tesi di ricerca che esplora l’interazione tra uomo e computer. Come dimostrazione pratica porta il suo software elaborato su computer EDSAC, e che ha chiamato OXO. Parecchi anni più tardi la sua creatura varcherà i confini del mondo con il suo vero nome di Tris. Nello stesso anno, dall’altra parte dell’oceano, al MIT di Boston, alcuni studenti riprendono gli studi di Douglas e, mettendoci insieme la passione per la fisica e la fantascienza, utilizzano il DEC PDP-1 dell’Istituto per programmare il primo simulatore di navigazione spaziale e combattimento, con tanto di iperspazio in cui saltare quando le cose di mettono male. Il gioco si chiama Spacewar, sarà per anni l’attrazione principale durante le gite studentesche, ma anche la prima scintilla che porta all’intuizione del futuro.
Nel 1972, Nolan Bushnell ha chiaro in mente tutto questo. Guarda nervosamente l’orologio, teme di arrivare tardi all’appuntamento con Ted e il direttore della banca. Ha un dubbio improvviso, uno dei tanti che si sono accavallati nel suo cervello negli ultimi mesi: e se la sua intuizione fosse errata? Certo, il mercato sembra ormai maturo per lo sfruttamento commerciale del nuovo media. I grossi nomi dell’industria frequentano ormai da alcuni anni le alcove dove i cervelli universitari progettano le nuove forme di intrattenimento. Sono trascorsi meno di dodici mesi dalla creazione del primo coin-op videogame, Galaxy Game, sviluppato dagli amici della Stanford University sulla base di Spacewar. La sua stessa esperienza con la Nutting Associates dell’anno precedente (un videogioco chiamato Computer Space) dimostra che esiste gente pronta a investire. Ma lui è soltanto un ex studente e programmatore alle prime armi, non ha agganci, non ha esperienza. E se fosse solo una bolla di sapone? Lo stesso progetto di primo videogioco della futura società, una versione lineare del tennis che lui pensa di chiamare Pong, è una scommessa azzardata quanto quella di attraversare la Monument Valley a cavalcioni di un somaro zoppo. Nonostante l’aria fresca Nolan comincia a sudare.
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