Salinas aveva sputato la parola compagno come se fosse una parodia, o un insulto.Curioso, molto curioso che usasse un tono del genere per riferirsi ai quattro settantenni più famosi del Cono Sur, ai padri e artefici dello sviluppo latinoamericano. Rico lo guardò interdetto, ma il cileno lo prevenne, fissandolo a sua volta. Batté appena le palpebre. — Prendi — disse lanciando una pallina attraverso la scrivania. — Che c’è qui dentro? — domandò Rico. Aveva afferrato al volo l'oggetto, riconoscendone la consistenza di grafite.
— Sei un genio delle trasmissioni, no? Be’, scoprilo da solo. E, mi raccomando. Non parlarne con nessuno, altrimenti l’agente Alvárez potrebbe rammentare che sei un borsaiolo professionista. E potrei ricordarmene anch’io. Domani aspetto una tua telefonata.
— Commissario…
— Capitano. Vuoi sapere le condizioni, vero? E’ giusto. Trentamila dollari adesso, altri settantamila a lavoro finito. E un passaporto fresco fresco per sparire dove vuoi. Al migliore, la migliore offerta possibile.
— Centomila dollari americani?
— Fino all'ultimo centesimo. Lo so, un tempo sarebbe stata una fortuna, ma adesso quei maiali europei ci stanno strizzando come limoni. Ma ti ci puoi comprare un braccio nuovo, e se sei bravo come penso, un'esistenza tranquilla in qualche paradiso tropicale. Però prima di cominciare a fare progetti sulla tua nuova vita da capitalista, facciamo un brindisi.
Il cileno cavò una baionetta da un cassetto e da sotto la scrivania un involto che assomigliava alle scatole protettive per le bottiglie. A quale altro gioco sta giocando ora? pensò Rico, estenuato. Salinas gli strizzò un occhio, lacerò il cartone e sollevò infine un costoso esemplare di rosso di Tarapacá.
— Nettare della mia terra — affermò il cileno con dignità, stappando la bottiglia e tendendola davanti a sé. — Bevilo alla mia salute.
— Capitano, senta...
— Bevi! — ordinò il cileno.
Rico sospirò. Aveva appena cominciato a guadagnarseli, quei centomila dollari. Afferrò la bottiglia e cominciò a versarne il contenuto in un profondo calice. Soprappensiero, stava già quasi assaporandone il bouquet fruttato, quando...
E che cos'è questa roba?
— Sorpresa! — trillò Salinas. — Sapevo che non saresti rimasto deluso. Ma il bello deve ancora venire!
Rico fissò con disgusto una specie di pappa grigiastra riempire il calice. Incredulo, la vide traboccare di sua iniziativa, una forma tremolante che scese lungo le pareti di cristallo del bicchiere per cadere con un tonfo liquido sulla scrivania. Scariche elettrostatiche percorsero il piano celeste, mentre il grumo rimase immobile come una frittella marcia, scosso ogni tanto come da un brivido.
— In nome del cielo, che cos'è questa oscenità? — urlò Rico.
— Gelatina nanomolecolare — rispose con affettata noncuranza Salinas. Era come se recitasse un copione imparato a memoria. — E' roba di prim'ordine, sai? Brevetto iraniano, sviluppato in Israele e rubato dagli americani. E a loro l'abbiamo soffiato noi. Dai, su, ora toccala...
— Non ci penso nemmeno!
— Toccala, ti ho detto!
Il grido di Salinas scosse Rico. Avvicinò cauto al grumo tremolante la punta dell'indice superstite. La gelatina smise di rabbrividire e cominciò a scuotersi. Il colore grigio sporco si trasformò in una luccicante tinta cromata. In tutto simile ora a una pozza di mercurio, la sostanza si levò in alto. Dapprima incerta sul da farsi, poi con sempre maggior sicurezza, allungò una sorta di tentacolo verso la mano di Rico. Questi la tirò indietro, disgustato, ma il fluido si mosse più velocemente. Rivestì tutte e cinque le dita, una dopo l'altra, poi si stirò verso l'alto, andando a ricoprire l'avambraccio come un guanto metallico. Senza fiato, Rico vide il suo braccio buono trasformarsi in quello di una specie di supereroe, un po' come il Silver Surfer di quella vecchia serie americana.
Come se fosse soddisfatta del risultato ottenuto, la gelatina infine retrocedette e, mantenendo la nuova forma, cadde di nuovo sul tavolo.
Rico non ebbe tempo di sospirare di sollievo. Guardò Salinas che fissava il processo, elettrizzato, poi fissò di nuovo lo pseudoavambraccio: questo si sollevò, stavolta sulle dite cromate, e quasi prendendo la mira come un ariete, andò a incastrarsi sul suo moncherino destro, fondendosi con quanto rimaneva del gomito.
Rico gridò, di dolore e di orrore.
Non era ancora finita. Il pollice della nuova mano destra, grottescamente sporgente sul lato sbagliato del palmo si staccò dall'articolazione con uno schiocco. Poi cominciò a scivolare sulla carne, migrando come un dolce sulla panna. Un suono simile a un risucchio, e il dito si fissò dalla parte giusta, mentre le altre estremità, quasi come fossero vermi all'amo, si agitarono e si modificarono finché indice e mignolo non si scambiarono di posto come il medio e l'anulare. Con un curioso brusio sottopelle, le ossa della nuova mano si aggiustarono nella configurazione corretta.
— Forte, eh? — commentò Salinas, lisciandosi i baffi. Gli occhi gli scintillavano. — Quella gelatina è in grado di leggere il tuo codice genetico e replicare qualsiasi organo o arto mancante. La prima volta che la usi ti lascia senza fiato. Poi si ringrazia Dio per il dono del progresso...
— Io...
— Non c'è bisogno che tu dica niente, Proietti. Questa è solo una piccola gratifica. Tanto per farti capire cosa ci guadagni in questo affare. Chissà, forse quel braccio potrebbe essere tuo per sempre, se solo...
Un braccio nuovo. Una vita nuova. Rico si guardò senza fiato il nuovo arto, la pelle color metallo che poco a poco prendeva una più naturale sfumatura rosea. Con le lacrime agli occhi si vide rifiorire, sulla pelle tra indice e pollice, la vecchia voglia marrone che aveva dimenticato.
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