— Chiaro che sì — ribatté soddisfatto Salinas, appoggiandosi di nuovo allo schienale. Rico lo vide valutare per un istante se la risposta fosse stata sarcastica, e quindi rimuovere il pensiero con una smorfia dei baffetti sottili. Il cileno posò gli avambracci sulla scrivania e drizzò la schiena. Con l'unghia dell'indice scrisse qualcosa sul tavolo e lo sottolineò più volte. Poi unì le punte delle dita all’altezza del naso. Rico, al quale questo gesto era ormai precluso per sempre, scoprì di odiarlo con trasporto. — Insomma, Proietti — riprese Salinas mentre l'agente Alvárez stava ancora in piedi, immobile, al suo fianco. — Ti dirò una cosa, e nel tuo interesse ascoltami bene. Nella sua grande magnanimità, il nostro governo crede ancora di avere un debito d’onore con tutti quelli che accorsero a combattere per riunire ;;le Isole Malvine alla nazione argentina, oggi parte del Cono Sur. Così noi tutori dell’ordine siamo costretti a chiudere un occhio sulle mele marce. Ma non per sempre.
Fece una pausa e si accese una sigaretta brunastra e puzzolente. Rico rabbrividì. Erano anni che non vedeva più nessuno fumare. Lui aveva perso il vizio dopo la guerra, e il proibizionismo venuto dagli Stati Uniti aveva fatto il resto. Usare il tabacco in un ufficio pubblico era peggio che denudarsi davanti alla Casa Rosada.
— Genio trasmissioni, è scritto su questo foglio — lesse Salinas alzando con due dita il documento di congedo di Rico.
— Sono stato arruolato in quel reparto. Ma ho visto solo il campo di addestramento di Chacabuco, ha presente?
— Come no. Ridente località del mio paese.
Il cileno sorrise, ammiccando verso l’agente al suo fianco.
— Già — mormorò Rico. — Lì vicino ci portavano i prigionieri di guerra inglesi. Loro a guardare, e noi a marciare. E’ lì che ho sperimentato gli istruttori cileni e cubani…
— Ed è grazie a loro se sei diventato un combattente di primordine. Peccato per quello — commentò ammiccando verso il moncherino.
Rico fissò a sua volta il troncone. Come imbambolato, si rivide prigioniero, poi su un letto da ospedale da campo, a Port Stanley. La camerata era stata tappezzata con le prime pagine della Nación e del Clarín. Gli eroi del Sud Atlantico respingono a carissimo prezzo l’offensiva scagliata dai Gurkhas. Le Malvine rimangono argentine grazie al sacrificio degli italiani. Così stava scritto sui giornali di Buenos Aires, e nonostante il dolore e la febbre che lo divorava, Rico condivideva l’atmosfera di trionfo: a decine i volontari della Brigata Internazionalista Italiana erano stati trucidati dai famigerati soldati nepalesi armati di kukri, quell'orribile spada che usavano nel combattimento ravvicinato.
Avevano tuttavia continuato a riversarsi sul nemico, riuscendo ad accerchiarlo e, dopo uno scontro feroce, a ottenerne la resa. A chi importava sapere se i Gurkhas si erano arresi perché erano rimasti solo in quindici, fra gli italiani e i retrostanti campi minati, oppure perché nel frattempo era arrivata una notizia tanto inverosimile quanto certa: l’abbattimento, poco lontano, dell’elicottero su cui era imbarcato il principe Andrew Windsor. Fatto sta che la stampa latinoamericana aveva dato agli italiani, e fra questi all’ormai mutilato Rico, il merito di avere respinto l’offensiva chiave che stava per riportare gli inglesi a Port Stanley, due mesi dopo che sulle Falkland ribattezzate Isole Malvine ;;era tornato a sventolare il vessillo argentino.
— Proietti? Sei ancora con noi? — Era la voce di Salinas. Rico sobbalzò e si portò la mano sotto la camicia, a sfiorare sul petto la medaglia d’oro che la Giunta Militare gli aveva fatto arrivare vent’anni prima. Guardò il sole argentino: sorrideva almeno quanto il generale Leopoldo Galtieri all'annuncio che gli Exocet francesi avevano affondato la fregata Argonaut, il cacciatorpediniere Brilliant, e infine, con tre impatti devastanti, la portaerei Invincible. Lo sguardo infine gli cadde sulla scrivania elettronica di Salinas: era quasi del tutto ingombra di nuovi scarabocchi, che il poliziotto doveva avere tracciato a grande velocità.
— Per quanto sembri incredibile — scandì il cileno — tu credi che la Patria ti debba qualcosa. Pensi ancora, in qualche modo, di essere un eroe. Ma, fattelo dire da chi conosce bene i parassiti come te, il nostro governo è stato troppo magnanimo con i reduci. Sono trent'anni che ci campate sulle spalle, e adesso sarebbe ora che vi rendeste utili, come fanno tutti. L’ozio corrompe, e il governo spesso dimentica che ci vuole ordine. E’ sull’ordine che si fonda la vera democrazia socialista, o sbaglio?
Salinas rise brevemente, uno strano rumore, come un rantolo. Come se imbarazzato da quel suono, esitò, poi si ricompose, stringendosi il nodo alla cravatta. Tornò a unire le punte delle dita sotto la punta del naso.
— Cosa facevi esattamente ai tempi della guerra?
— Ha il mio foglio di congedo, se lo rilegga — bofonchiò Rico.
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