Dopo i Pink Floyd citiamo senza dubbio i Kraftwerk (allievi di Stockhausen), gruppo electropop formatosi nel 1970, direi addirittura paladini di un certo postumanismo ecologico, assolutamente non estremo, ma determinato. Nello stesso periodo, come si accennava, viene usato per la prima volta il termine body-art per segnalare gli interventi newyorkesi di Vito Acconci e Jan Wilson. Il corpo come “materia espressiva” era stato utilizzato, ma Acconci raggiunge un certo livello di estremismo, qualcosa che potremmo per la prima volta definire come “postumano”. Già qualche anno prima (1965-9) un gruppo di austriaci, gli Azionisti Viennesi, adoperando pittura, oggetti, escrementi e materiali umani, si riappropriano del loro corpo, liberando tutti gli istinti repressi ed esibendo le loro nevrosi. Gli interventi sono diversi fra loro, a carattere politico (Otto Mühl, eventi con mescolanze di corpi, oggetti e materiali), rituale (Herman Nitsch, riti con animali sgozzati e squartati e persone nude ricoperte di sangue e viscere), sessuale (Rudolf Schwarzkogler, che arriverà fino alla castrazione e morirà suicida nel 1968 durante una sua performance). Anche il Californiano Chris Burden mette a dura prova la sua resistenza fisica e psicologica. Nel 1971 si chiude forzatamente per cinque giorni in un armadietto di ferro chiuso a chiave, bevendo soltanto acqua. Nello stesso anno, in Shooting Piece, Burden si fa sparare un colpo di pistola su un braccio da una certa distanza, restando lievemente ferito. Nel 1972 (Deadman) si chiude in un sacco di tela, collocandosi in mezzo a una strada trafficata. La francese Gina Pane comincia a lavorare col proprio corpo nel 1968, ma è del 1971 la sua prima azione in cui si ferisce (Escalade). Infine Stelarc, artista cipriota che comincia cimentandosi nelle Sospensioni, una serie di azioni in cui il suo corpo veniva sollevato e lasciato fluttuare all’interno di spazi e gallerie, e che giungerà, vent’anni dopo, a un’altissima integrazione uomo-macchina, come vedremo più avanti.
La ferita, l’incidente violento e una certa componente sessuale caratterizzano tutte queste azioni artistiche, e compaiono anche in libri come La mostra delle Atrocità (1970) e Crash (1973) di James G. Ballard. Il postumanismo è definitivamente tra di noi, un concetto sempre più assimilato alla nostra “semplice” vita quotidiana.
Per riavvicinarci al nostro principale campo d’indagine, l’elemento sonoro, dagli anni ‘80 è sulla scena il gruppo teatrale di contaminazione La Fura dels Baus, che comincia le sue rappresentazioni nel 1984 con Accions in cui utilizza macchine meccanico-cibernetiche trattate come componenti del corpo umano ibridato. In Suz/o/Suz (1985) le macchine cominciano a essere autonome, macchine ibride con tecnologie riciclate, motori di lavatrice, ruote dentate, bracci meccanici. Ma lo spettacolo si completa soltanto con la presenza dello spettatore, il quale ne fa parte integrante: non vi è alcuna separazione (palco, scenografia) che separa macchine, attori e spettatori, ma il pubblico si muove dentro la musica e le immagini.
Terminiamo questa rapida rassegna di performer “postumani” con l’artista francese Orlan, che comincia nel 1990 le performance chirurgiche che andranno man mano trasformando il suo volto secondo un preciso progetto: ogni singolo pezzo è stato progettato al computer e trasferito sul volto di Orlan. L’artista insiste sulla decostruzione di un’identità unica agendo sulla propria carne, plasmandola e modificandola. Ogni suo intervento chirurgico viene documentato con filmati e video, esso si apre con la sua lettura di alcuni testi (Serres, Artaud, ecc.), a volte durante l’operazione, mentre il bisturi penetra, taglia, e modifica la struttura del suo volto.
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