La sua trama somiglia a un labirinto ipertestuale: il percorso del lettore si snoda attraverso relazioni familiari di rara complessità, riferimenti che conducono inevitabilmente alle pietre miliari della fantascienza letteraria, ammiccamenti a quella televisiva e cinematografica e richiami alle più sofisticate teorie scientifiche sulla futura evoluzione della civiltà umana. Trovate affascinanti e geniali si mescolano a visioni oscillanti tra l’incubo e la meraviglia. E la trasformazione coinvolge inesorabilmente gli eventi e i protagonisti, con la conseguenza che anche le finalità di alcuni piani finiscono per essere stravolte man mano che questi vengono messi in opera. Diventa così facile per un sogno di libertà degenerare nell’orrore della schiavitù, come quando il progetto di convertire la materia inerte del Sistema Solare in computronium (in modo da renderla senziente) viene ereditato dalla discendenza dell’umanità, definita “Vile Progenie” (un’eco dalla Confluence di McAuley?) dai superstiti riparati intorno ai pianeti esterni. L’obiettivo concepito originariamente da Manfred Macx di schiudere una nuova strada all’evoluzione sociale e predisporre il terreno per l’avvento delle future generazioni postumane, non appena il progetto passa nelle mani di queste ultime viene riconvertito ai loro nuovi scopi: realizzare un cervello matrioska alimentato dall’energia del Sole, piano attuabile solo a costo di assimilare nel proprio obiettivo anche i dissidenti, in una omologazione forzata non troppo dissimile dall’asservimento coatto di un regime totalitario.
Nello scontro epico tra la Vile Progenie che progetta la conversione del Sistema Solare in un’unica, grande mente collettiva e gli Accelerazionisti che sognano una fuga verso la nuova frontiera cosmica, Stross trova il modo per stemperare i toni grazie a uno sguardo ironico e mai completamente distaccato dalle sorti dei suoi protagonisti. Le invenzioni tecnologiche e il progresso della scienza che Stross porta in scena sono tali da esigere l’adozione di nuove unità di misura coniate per l’occasione: per esempio, la velocità dei mutamenti aumenta fino al punto di imporre il computo del tempo non più in anni ma in secondi. Non di rado le soluzioni suggerite sono caratterizzate da una fragorosa carica provocatoria, come la realizzazione di un regime agalmico (basato sull’abbondanza, l’equa allocazione delle risorse e il libero accesso alla ricchezza) concordato da Manfred Macx con un economico europeo militante nel Partito Comunista Italiano (avete letto bene!). Un piano destinato purtroppo a fallire per la reazione delle società a responsabilità limitata, che presto si costituiscono in soggetti individuali maturando una propria legittima personalità. E in uno scenario simile non bisogna meravigliarsi se il recupero crediti viene condotto da una flotta di pirati spaziali...
Nel 2006 Stross ha dato alle stampe Glasshouse, che pur essendo incentrato su personaggi completamente nuovi, riprende il mondo di Accelerando e ne spinge la carica speculativa verso i confini estremi dell’estrapolazione tecnologica. Prodromi di Singolarità erano d’altronde già presenti nei due precedenti romanzi di Stross, collegati in una sorta di dittico dal tenue filo narrativo della ricorrenza di alcuni protagonisti: Singularity Sky (2003, inedito in Italia) e L’alba del disastro (Iron Sunrise, 2004, pubblicato quest’anno da Armenia, sempre nella collana Nuova Galassia). L’universo messo in piedi è di quelli complessi e affascinanti che ogni amante della space opera non può non apprezzare: viaggi a velocità iperluce, società planetarie evolutesi da un sostrato comune che le accomuna al di là delle ultime divergenze storiche, entità oscure che trascendono le azioni e la cognizione degli uomini. L’invenzione più originale di questo scenario futuro è senz’altro Eschaton, un’entità postumana emersa dagli albori della singolarità e presto trascesa in una sorta di imperscrutabile Demiurgo. Per proteggere la propria linea di vita (il proprio “cono storico di luce”), nel futuro come nel passato, Eschaton non ha esitato a operare una vera e propria deportazione di massa dell’umanità, disperdendo tra le stelle il seme dell’uomo. Su questo sfondo si consumano oscure manovre politiche e trame cospirative volte a imporre il predominio di ideologie distorte dal potere quando non intrinsecamente devastanti.
Universo distorto (Missile Gap, 2007, pubblicato quest’anno dalla Delos Books nella collana Odissea Fantascienza) riprende alcune delle ossessioni strossiane, non ultime il mondo simulato (qui ricostruito su un disco artificiale nella Piccola Nube di Magellano, con un altro rimando all’opera di McAuley) e l’affresco di civiltà tecnologiche estremamente progredite, avanzate al punto da avere compiuto uno o due passi avanti nella scala di Kardashev, e le stempera in una narrazione decisamente meno impegnativa delle precedenti, ma non per questo meno gustosa. I sottotesti che potremmo voler leggere in Universo distorto sono molteplici, dalle potenzialità mitopoietiche della letteratura alle connessioni della fantascienza con l’immaginario popolare, fino alla ricostruzione d’ambiente capace di gettare una nuova, sinistra luce sui mitici anni Settanta. E non solo quelli, a dire la verità.
Che poi è l’esaltazione della dote più preziosa espressa dalla fantascienza.
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