La luce del sole spiove obliqua nel pomeriggio fino a trafiggere gli anfratti color cenere dei calanchi. Questo è il primo elemento che colpisce la percezione del ragazzino, imprimendosi a fuoco negli strati emozionalmente ricettivi della sua memoria, dietro le lenti. Mentre contempla la pioggia immateriale e dorata che filtra tra i rami degli alberi – un filare di cipressi stanchi, per quanto non debbano essere più vecchi della Bonifica – sa già che non dimenticherà mai questo momento. È il suo primo impatto con il mondo rurale, un immenso museo a cielo aperto in cui sopravvivono le vestigia del passato.
Ed è come un pugno allo stomaco, perché solo adesso realizza di essere lontano dall’ambiente confortevole e tecnologicamente familiare della città. Si sente dis-integrato. Fuori dalla culla psicoattiva, scopre d’un tratto la sua vulnerabilità.
Sbatte le palpebre, cercando di mettere a fuoco un rudere poco distante dalla strada, e poi un laghetto artificiale per l’irrigazione dei campi. Ma non succede niente. I simboli tacciono. Il mondo si è chiuso in un ostinato silenzio grafico.
Lorenzo – questo il nome del ragazzino – solleva piano lo sguardo dall’erba pettinata dal vento e, scavalcato il canyon con il Cavone che scorre placido e lento in fondo al baratro, incrocia il profilo frastagliato del castello di San Basilio, in lontananza. Il nome dei luoghi, Lorenzo lo conosce grazie al riscontro dell’uplink, che conferma le descrizioni di suo padre. L’eco del Virtuale lo avvolge per un attimo, ma il calore dell’abbraccio svanisce subito in uno sciame di farfalle elettriche. Senza vestire la rete, si sente nudo e si scopre quasi a corto di parole.
Il lessico interattivo è estremamente povero, quaggiù. Lontano dalla connessione.
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