2001: Odissea nello Spazio è una storia di date. A partire dal suo titolo, che poneva all’epoca un limite invalicabile, un “mille e non più mille” della fantascienza che, una volta superato, avrebbe reso tutto molto diverso. Poi fu superato e non successe niente, ma non accadde nulla nemmeno il primo giorno dell’anno 1001. L’altro anno è il 1948, quando il racconto che lo ispirò, La Sentinella, venne scritto da Arthur C. Clarke per una competizione indetta dalla BCC che lo scrittore non vinse (pubblicandolo tre anni dopo su una rivista che chiuse dopo il primo numero). Quindi, esattamente un ventennio dopo, la data cult: 1968. Il mondo che cambiava, la società che si rivoluzionava, un film – quello di Stanley Kubrick – che si adeguava ai tempi attraverso innesti psichedelici che facevano del classico topos del viaggio spaziale un’esperienza da trip allucinogeno. Poi il 1969, l’anno ancora dopo: quando la Luna venne quasi inaspettatamente conquistata e ci si chiese se il monolite nero stava per essere scoperto, e il viaggio per Giove sembrò dietro l’angolo. Infine il 2008, qurant’anni dopo il film, sessanta dopo la prima stesura del racconto: si spegneva Arthur C. Clarke, “dopo aver completato 90 orbite intorno al Sole”.
Sopravvivere a quella che egli probabilmente considerava come una data limite dovette sembrare ben strano ad Arthur Clarke. Essere lì e non trovarsi né viaggi sulla Luna, né tantomeno uomini verso Giove o supercomputer dotati di intelligenze artificiali; tanto più, l’unica cosa che in 2001 era presente già all’epoca del film e del romanzo che lo sctittore inglese scrisse successivamente, ossia la Guerra fredda, era invece venuta meno. Ben diverso da quello che poi sarebbe diventato il film-cult della fantascienza, il racconto ispiratore La Sentinella non aveva quasi nulla di ciò che conosciamo di 2001, a parte il soggetto di fondo: la scoperta di un grandioso artefatto di una civiltà ormai scomparsa, che rappresenta un enigma incomprensibile per i membri della spedizione lunare. Poi, dopo vent’anni di studi, viene perforata la superficie di questa piramide selenita e all’interno una sorta di radiofaro invia un segnale nella galassia. Ci si rende conto che l’umanità si è trovata di fronte a una prova messa lì da un popolo antichissimo e avanzatissimo, che in cerca di suoi simili aveva posto questi radiofari su tanti mondi diversi in attesa di essere trovati da specie in possesso dei mezzi per risolvere l’enigma. Il racconto si concludeva con la rassegnazione dell’umanità, nel dover aspettare l’arrivo degli emissari di questa razza forse ormai estinta ma che l’eco del segnale avrebbe potuto aver risvegliato.
Kubrick rimase chiaramente colpito dalla vaghezza del racconto. Sulla storia di Clarke aleggiava infatti un che di misterioso, insondabile, immoto. Gli stessi caratteri del monolite nero che è in fondo il vero protagonista di 2001: Odissea nello Spazio. Chi l’abbia costruito, quale sia il suo scopo, che ruolo abbia nel percorso di crescita della civiltà umana sono domande che né il film né il romanzo chiariscono. Al soggetto originale vennero aggiunti altri elementi che contribuirono a fare quello che Kubrick chiamava il “proverbiale, buon vecchio film di fantascienza”: principalmente, il viaggio spaziale verso Giove (Saturno nel romanzo, ma solo perché la produzione non aveva abbastanza soldi per ‘allungare’ il viaggio cinematografico fino a quel pianeta) e l’intelligenza artificiale impazzita, HAL 9000. In realtà, pur sfruttando temi canonici della produzione fantascientifica precedente in termini sostanzialmente classici (essendo Clarke uno scrittore della vecchia guardia), 2001 introduceva una tematica che poi avrebbe fatto fortuna nella fantascienza di fine Novecento e degli inizi del XXI secolo, incentrata sul tema della “singolarità” che permetterebbe all’essere umano di progredire rapidamente verso un gradino superiore nella scala dell’evoluzione. Aderente allo spirito postmoderno che dominava il dibattito sociale e la coscienza popolare del ’68, il tema della singolarità veniva declinato non in termini scientifici ma attraverso un’esperienza intimistica e quasi religiosa, chiaramente “non-narrabile” (tant’è vero che il romanzo-novelizzation inciampa nel tentativo di descrivere la parte più mistica del film, quella della trasformazione di Bowman). Al termine di questa esperienza nasce una nuova fase dell’umanità incarnata nel "Bambino delle Stelle", avanguardia di un’evoluzione che dovrebbe estendersi poi all’intera razza umana. Questa tematica, che 2001 accenna solamente, venne poi meglio elaborata da Clarke nel suo 3001: Odissea finale (1997), ultimo capitolo della saga che lo scrittore trasse dal fortunato soggetto originale. In quest’ultimo romanzo Clarke applica la sua legge per cui “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, descrivendo le formidabili innovazioni tecnologiche dell’umanità tra cui Halman, l’intelligenza ibrida uomo-computer che è l’evoluzione del vecchio HAL 9000.
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