Erano le nove, l’ora dell’appuntamento. C’era ancora un po’ di energia nel satellitare, ma per pochi minuti. Il problema era se anche in quello di Sandra ce n’era e se le comunicazioni funzionavano ancora.
Funzionavano: giusto, i satelliti erano automatici e andavano a batterie solari; finché fossero arrivati impulsi li avrebbero ritrasmessi; e c’era energia anche nel terminale di Sandra.
Era terrorizzata, ovviamente, i capelli una massa informe, l’acqua non c’era già più, occhi rossi di lacrime, si sentì stupido a chiedere come andava.
Erano entrati nel palazzo, avevano sentito le urla di qualcuno dei piani di sotto, poi spari e tutto era tornato silenzioso ma sarebbero tornati e non sapevano come fare, il fucile aveva pochi colpi e poi avevano poca acqua, sarebbero morti, sarebbero morti, ricominciò a piangere.
Non piangere micina: tenete duro. Quando finirà verrò da voi, un bip, il segnale di batteria esaurita, lo schermo si oscurò, Amen si disse.
Non era affatto ottimista. Per loro soprattutto. Due vecchi e una donna e un fucile da caccia di vent’anni fa. D’accordo che avevano la porta blindata, forse ce la facevano. Quanto a papà e mamma stavano in campagna con tutti gli altri ed erano armati, anche loro ce la potevano fare.
Chi stava veramente nei guai era lui: una porta che la butti giù anche con lo sputo e non faceva molto affidamento sulla libreria che ci aveva messo contro; aveva bloccato anche le finestre, ma potevano passare da un balcone vicino. E poi le finestrelle della cucina e del bagno: davano sul pozzo interno ma potevano scalare il muro o anche saltare dall’appartamento vicino.
Con il cibo era messo meglio: Sandra lo sfotteva per via della mania di comprare sempre pasta, di non saper resistere alle offerte speciali, ma adesso ne aveva una decina di chili: anche a mangiarla cruda poteva durare per un mese se lo stomaco reggeva; di acqua ne aveva in abbondanza e un fornetto da campo con qualche bombola.
Ma nessuna arma vera: o certo, il coltello da cucina e le pistole ad acqua riempite con acido muriatico: ma non si faceva illusioni nel caso di un attacco in forze.
E l’attacco in forze si presentò già al terzo giorno; dovevano aver saccheggiato tutti i negozi e distrutto o bruciato tutto quello che avevano sottomano, in certi momenti il puzzo e il fumo degli incendi era stato insopportabile, aveva sentito qualcuno dei piani superiori uscire tossendo, pazzo furioso, infatti, non li aveva sentiti tornare; lui aveva resistito grazie a stracci imbevuti d’acqua, anche se ne aveva consumata molta, troppa.
Poi fumo e puzza si diradarono e cominciò a sentire urla e spari sempre più vicini. Entrarono nell’appartamento di sotto, era vuoto, bestemmie di delusione. Salirono, il suo piano, l’appartamento dei vecchietti, qualche minuto di urla rauche, chissà come faceva a gridare il vecchietto, aveva un buco in gola, un rumore di zucca fracassata e attraverso le tapparelle vide che gettavano lui dal balcone, doveva essere ancora vivo, lo sentì lamentarsi anche dopo.
L’appartamento di fronte al suo, vuoto, e poi i primi colpi di accetta sulla porta. Il tizio non ci mise niente a fare un grosso buco e a spingere via la libreria, giusto, acquistavano forza, ma fece l’errore di ficcare la testa e il braccio con l’accetta dentro il buco e di urlare minacce nella loro lingua sconnessa. Il viso gli si raggrinzì sotto l’acido, si ritrasse urlando, abbandonando l’accetta. Appena fu a terra i compagni l’assalirono, giusto, l’istinto irrinunciabile, e quando uno di loro infilò il braccio nell’apertura per tirare via la catena, riuscì a tranciarlo con un colpo solo. Si dedicarono nuovamente al ferito, un po’ di fortuna, l’essenziale era guadagnare tempo, se cedeva prima la porta blindata dei vicini forse ce l’avrebbe fatta. Cedette. Le grida questa volta durarono a lungo, era una famiglia con donne giovani e bambini. Ne approfittò per rialzare la libreria e poggiare un altro mobile contro la porta. Ora però potevano passare dai balconi dei due appartamenti, se gli era rimasta sufficiente organizzazione mentale l’avrebbero preso da tre fuochi. Ma fu fortunato: sentì il vetro della cucina infrangersi, uno era saltato dal balcone dei vicini sul suo davanzale, ma aveva perso la presa o si era ferito rompendo il vetro, mirò con l’accetta alle dita e le colpì, cadde giù nel cortile interno, l’altro saltò sul davanzale e mantenne la presa, ma dovette fermarsi per scivolare dentro, i colpi di accetta non l’avrebbero fermato, diresse il getto di muriatico sui testicoli, funzionò, si raggomitolò urlando, cadde nella sua cucina, ci mise un po’ ad ucciderlo colpendolo sulla testa, ma alla fine ce la fece. Sentì che stavano cercando di buttare giù le tapparelle dall’altra parte, era questione di poco. Ebbe un’idea ed aprì le finestre; come prevedeva non venne tutto giù subito, ne fecero volare via delle grosse parti e immancabilmente ci infilavano la testa o il braccio. Bastava un colpo per farli ritirare feriti e farli assalire dai compagni. Due caddero passando dal balcone, giusto, gli occasionali difetti nel coordinamento motorio, l’ultimo preferì tornare indietro e unirsi agli altri che stavano assaltando i piani superiori.
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