Parliamo dell’Invasione degli Ultracorpi?
La cosa che mi fa più paura di quel film non è l’invasione aliena o la metafora del comunismo, bensì l’idea del bambino che non riconosce più la sua mamma, perché questa si sta comportando in maniera molto strana, all’opposto di come ha sempre fatto. La cosa più buffa è stata che quando ho dovuto scegliere una sequenza iniziale, me ne sono state presentate una decina e io ho voluto quella con le nuvole. L’altro giorno guardavo con le mie figlie L’invasione degli ultracorpi che non vedevo da tantissimi anni e, sorpresa, ho scoperto che si apre proprio con una sequenza simile. È straordinario scoprire come lavora il proprio inconscio e come ci porta a rubare dai film degli altri.
Eppure il finale sembra preludere a un sequel…
Nessun sequel. Soltanto l’idea della speranza di potere riuscire a cambiare che, ogni tanto, arriva quando è davvero troppo tardi per potere riuscire a trasformare le cose. Ho scelto un tono tragico, perché è vero che si può provare a cambiare, ma è meglio farlo il prima possibile, quando non c’è stato ancora nulla di irreversibile. Il mio secondo nome, Night deriva dalla cultura Lakote che celebrava la Natura e la adorava. A sedici anni mi sono reso conto di quanto quella cultura avesse senso e fosse tutt’altro che primitiva. Il mondo naturale intorno a noi è uno scenario perfetto da venerare, perché si sente nella Natura la presenza del divino. Se noi ci prendiamo cura del mondo intorno a noi, esso si prenderà cura di noi.
I suoi film non sono mai ‘corali’ e si sviluppano sempre, soprattutto, intorno ad un protagonista…
Questo perché il personaggio principale del film sono sempre io. Anche se, di volta in volta, ho dei piccoli cameo come attore, il vero io sono sempre il protagonista e non quello che interpreto sullo schermo. Sono figure lacerate che, in genere, devono riuscire a riscoprire qualcosa e riconquistare parte di loro stessi. Per questo il pubblico ha sempre delle reazioni molto forti nei confronti dei miei film: perché hanno a che fare con qualcosa di molto importante e a temi come l’amore per la famiglia e la fede. I miei non sono solo film, ma riguardano argomenti importanti che toccano in pieno la vita di tutti noi. Mark Wahlberg è un uomo di fede e io mi lego ad interpreti come lui che hanno qualcosa di profondo nella loro personalità.
Lei ha scritto Unbreakable, ma non ha mai pensato di lavorare ad una storia di supereroi legata direttamente ad un fumetto?
No, perché – credo – che con quel film ho già toccato l’argomento. Adoro i supereroi. Ci ho pensato molto quando mi hanno chiesto di lavorare su Spider-Man e non è escluso che, in futuro, possa decidere di accettare.
Che cos’è per lei la suspence?
Un qualcosa che mi deriva fortemente dal cinema degli anni Cinquanta e Sessanta. Mi piace il cinema di oggi, ma non mi ‘connetto’ a lui alla stessa maniera con cui ‘sento’ quello del passato. È come se i film più vecchi e io avessimo la stessa "voce". Per me il cinema è come una danza tra la macchina da presa e gli attori. Qualcosa che viene da un’altra era rispetto a oggi quando il montaggio computerizzato ha cambiato completamente le cose. Io preferisco passare due ore nel ricercare l’inquadratura giusta, anziché farne quattro differenti eppoi montarle. Preferisco pensare ad un film prima e ottenere il risultato sul set, anziché trovarmi in sala di montaggio e decidere quale sarà il tono della pellicola. E venne il giorno è un film ‘di paura’ girato in pieno giorno. L’estetica di Hitchcock che prendo in prestito è qualcosa che mi fa stare più a mio agio. Anche quella giapponese è interessante: minimalista e pulita, presente, peraltro, anche nel cinema di Kubrick. Alle volte mi devo quasi bloccare per impedirmi di girare certe scene così come avrebbe fatto lui.
Indiana Jones è diventato un successo enorme: qualche rimpianto?
Sempre! Certo, mi avrebbe divertito molto potere passare un po’ di tempo con quel gruppo di persone, parlare con cinema di loro. Il problema principale riguardava ‘la prossimità’. George Lucas è a San Francisco, Steven Spielberg a Los Angeles e Harrison Ford abita tra le due città. Per me che sono da sempre residente a Philadelphia avrebbe comportato trascorrere settimane su settimane con loro a parlare da un punto all’altro della California. Qualcosa che non posso fare, perché la mia scelta di vita è quella di stare a casa con mia moglie e le mie figlie. Il mio viaggio più lungo lontano da casa è stato quello di una decina di giorni proprio per promuovere E venne il giorno. Scrivere la sceneggiatura di Indiana Jones, quindi, non mi sembrava possibile, soprattutto perché stavo montando Unbreakable e non pensavo di potermi dedicare anche a quel progetto, perché – otto anni fa – loro avevano tantissima fretta. Sa che cosa le dico? È bello anche solo restare un fan. Nel mio ufficio c’è il poster originale de I predatori dell’Arca Perduta. Che dire? Alle volte è meglio non provare a mescolarsi con i propri eroi.
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