Il 23 giugno 1980 cominciarono le riprese. Harrison Ford fece presto a meno degli stuntman per quasi tutte le scene, dopo aver imparato con estrema rapidità l’uso della sua immancabile frusta ed essersi prestato personalmente a girare la celebre scena iniziale della corsa per sfuggire al masso rotolante (immortalata nel museo delle cere di Madame Tussaud’s; in realtà il masso era di gesso, ma comunque pesante abbastanza da ferire significativamente chiunque fosse rimasto schiacciato). Karen Allen, scritturata per la controparte femminile di Indy, non ebbe la stessa disinvoltura: proveniente dall’esperienza teatrale, non apprezzava l’estrema semplicità con cui Spielberg affrontava il suo ruolo e per di più, diversamente da Ford (e dal personaggio da lui interpretato), era terrorizzata dai serpenti utilizzati a migliaia per la scena nel pozzo delle anime. La Allen ottenne così di essere sostituita in molte scene dalla controfigure, mentre Harrison Ford finì una volta con un piede sotto la ruota dell’aereo attorno a cui, nel film, lotta col meccanico tedesco nella scena e in un’altra si schiantò con il biplano che nelle scene iniziali doveva portarlo in salvo; in entrambi i casi rimase tuttavia illeso. Un anno dopo l’inizio delle riprese, il 12 giugno 1981, il film usciva in più di mille sale in tutti gli Stati Uniti. Lo straordinario realismo della performance di Ford, la storia elettrizzante e il fascino misterioso della leggenda dell’Arca, gli ottimi effetti speciali dell’ormai comprovata Industrial Light&Magic e non da ultimo il superbo lavoro di John Williams alle musiche (il tema principale entrò da subito nella storia del cinema) fecero de I Predatori dell’Arca Perduta un autentico trionfo. Non furono tanto i 380 milioni di dollari guadagnati in tutto il mondo, le otto nomination agli Oscar e le quattro statuette vinte (effetti speciali, montaggio, scenografia, sonoro) a decretare questo trionfo, ma la consapevolezza di aver rinnovato un genere e aver fatto, di nuovo, la storia del cinema.
L’idea di un seguito non uscì dal nulla: Lucas aveva già progettato una trilogia laddove il primo film fosse andato bene. Spielberg diede da subito la propria disponibilità pur, inizialmente, affermando di voler limitarsi a girare solo un sequel, e non ulteriori capitoli. Alla sceneggiatura Kasdan, impegnato ora nella sua nuova carriera di regista, fu sostituito con i collaboratori di Lucas alla stesura del copione di American Graffiti: non era una scelta casuale poiché in realtà il creatore di Indiana Jones voleva mantenere un totale controllo sul progetto. Fu di nuovo lui, infatti, a scrivere il soggetto di “Indiana Jones e il Tempio della Morte” (titolo che, su proposta di Spielberg, cambiò in “Tempio maledetto”), e a gettarsi con gli sceneggiatori Gloria Katz e Willard Huyck in una corsa contro il tempo per completare il copione e far così firmare a Spielberg il contratto, in quanto il regista non voleva restare troppo tempo con le mani in mano e stava esplorando altre possibilità. Harrison Ford fu, invece, subito della partita insieme alla Paramount che non ci pensò due volte a dare a Lucas e Spielberg carta bianca dopo i record d’incassi del precedente film.
Il secondo capitolo, pur essendo un sequel, sarebbe stato ambientato un anno prima dei Predatori dell’Arca perduta e, alla stregua de L’Impero Colpisce Ancora, avrebbe avuto molti toni dark. Effettivamente il film provocò non poche polemiche nel pubblico dei genitori, critici verso alcune scene particolarmente dure: in particolare, quella del sacrificio del giovane indiano da parte di Mola Ram fu modificata nella versione cinematografica senza mostrare la sequenza dell’estrazione del cuore. Lo stesso Spielberg si disse “poco contento” del risultato troppo cupo del film e c’è da credere che Lucas avesse bene in mente le critiche che gli sarebbero state poste quando decise di inserire nel copione molto più humor e fece pressioni per aggiungere, tra i protagonisti, anche un bambino (inizialmente una giovane principessa indiana). I bambini sarebbero poi stati al centro dell’intera vicenda, creando così un elemento di maggior identificazione nel pubblico giovanissimo che smussasse i toni troppo violenti. Nel casting, come per Harrison Ford, le scelte della controparte femminile di turno, la cantante Willie Scott, e della controparte infantile di Indiana, il giovanissimo cinese Short, bypassarono le innumerevoli audizioni. Kate Capshaw, che subito fu entusiasta del suo personaggio, seppe delle audizioni per il film dal suo agente che, una mattina, si ritrovò a fare jogging con il direttore del casting di Indiana Jones. Quasi l’ultima arrivata, la Capshaw batté più di mille concorrenti più quotate (tra cui, allora per nulla quotata, la debuttante Sharon Stone): Spielberg fu colpito dalla sua audizione e non fu un caso se poi nel 1991 la sposò. Per quanto concerne il piccolo Short, non bastarono seimila cassette di audizioni provenienti da mezzo mondo a convincere gli esperti del casting. Poi Spielberg, durante una visita alla scuola della Chinatown di Los Angeles, s’imbatté nel giovanissimo vietnamita Ke Huy Quan e si convinse che fosse la persona giusta. Quan meravigliò tutti con la sua spontaneità e ottenne la parte pur non avendo mai sentito parlare di Indiana Jones.
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