Da qualche settimana, gli appassionati statunitensi hanno iniziato ad addentrarsi nelle trame di Dead Space. Intanto, sulle pagine del fumetto, si è appena fatta la conoscenza con l’Usg Ishimura, la gigantesca nave spaziale nella quale sarà ambientato il videogame. Dead Space non è solo una delle avventure per computer e console più interessanti in uscita in autunno, ma un progetto di ampio respiro, che si dipanerà attraverso più forme espressive. La pubblicazione del gioco, prevista per Halloween, sarà anticipata da un film di animazione scritto da Justin Gray e Jimmy Palmiotti (Painkiller Jane), mentre Ben Templesmith (30 Days of Night) e Antony Johnston, autore del post-apocalittico Wasteland e tra le voci in ascesa del panorama anglosassone, stanno raccontando gli antefatti in una mini-serie di sei albi, edita da Image Comics, che dovrebbe arrivare prossimamente anche in Italia. Dietro tutto questo, una delle operazioni multimediali più ambiziose tentate in occidente, non così lontana dalle visioni faraoniche di The Matrix.
D’altronde anche Glen Schofield, vicepresidente di Electronic Arts e produttore esecutivo di Dead Space, non assomiglia al classico dirigente di una grande compagnia nordamericana. Pittore, illustratore, disegnatore di cartoon e fumetti. Schofield è arrivato alla stanza dei bottoni con alle spalle una lunga formazione artistica, con la quale ha voluto plasmare l’intero progetto, un’avventura tra horror e fantascienza (altra sua passione), dai toni adulti, che gli ronzava in testa da diverso tempo. Ciò si traduce, per esempio, nel fatto che Johnston non sia semplicemente un bel nome da appiccicare in copertina, ma anche uno degli autori coinvolti direttamente nella realizzazione del videogame, di cui lo sceneggiatore inglese ha curato il copione. Se il buon giorno si vede dal mattino, c’è da esserne contenti.
Basta dare un’occhiata al tipo di tensione, al terrore soffocante che avvolge i fumetti (la versione animata è disponibile su www.gametrailers.com). La storia di un’intera colonia mineraria spazzata via da quella che sembra un’ondata di follia omicida. Il monito di non avvicinarsi. Sulle pagine degli albi, Johnston ripercorre le ultime cinque settimane degli operai di Aegis VII. Un conto alla rovescia che comincia con il ritrovamento di uno strano blocco di pietra, forse un antico totem alieno. Secondo i seguaci di una religione parascientifica, si tratterebbe della reliquia che cela il segreto della vita oltre la morte. Tra il personale della colonia si formano però divisioni. Ma soprattutto nessuno riesce più a dormire. Intanto, con inaspettata solerzia, la megacorporazione che gestisce gli scavi ha inviato una squadra per prelevare la roccia. Ossia l’equipaggio dell’Usg Ishimura, con la quale la base perderà presto i contatti e che il team di ingegneri a cui appartiene Isaac Clarke, il protagonista del videogame, si troverà più tardi ad abbordare, rispondendo a una richiesta di soccorso.
Solo che l’Ishimura adesso è una nave fantasma, un relitto alla deriva, con il suo carico di morte e mostruosità che sembrano essere state vomitate fuori dalle bocche dell’inferno. Chissà se nel vuoto siderale c’è spazio per Dio. E chissà se ha voglia di ascoltare le preghiere di Isaac. Gli sviluppatori tengono a precisarlo. Isaac non è il solito eroe votato anima e corpo alla salvezza dell’universo. Più umanamente, sconvolto dagli eventi, la sua prima preoccupazione sarà sopravvivere. Ma lasciano anche capire che nel corso della vicenda assisteremo al mutare delle sue priorità, a un’evoluzione del personaggio, man mano che il protagonista acquisirà maggiori consapevolezze.
In effetti, Dead Space non ha l’aria del videogame costruito per dispensare qualche spavento, punto e a capo. Tutto fa invece propendere per un titolo genuino sì, ma profondo, diretto da mani che sanno esattamente dove andare a parare. La prospettiva in “seconda persona”, ripresa da Resident Evil 4 come il taglio survival, si sposa con l’eliminazione delle consuete informazioni in sovrimpressione sullo schermo, sostituite da altri artifici, come la barra dell’energia integrata nella tuta di Isaac. La ricerca di uno stile da pellicola – Schofield fa riferimento ad Alien come modello di atmosfera - non si limita comunque all’interfaccia. Anche il ritmo di gioco ne viene influenzato di conseguenza. Contrariamente a una credenza comune, gli autori di Dead Space sono convinti che i filmati spezzino la cinematograficità di una situazione. Nel videogame tutte le scene, anche le più spettacolari, saranno quindi sempre giocate e non esisteranno veri e propri stacchi tra il discorso narrativo e l’azione.
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