"Al tempo di cui parliamo [l'anno 1738], nella città [Parigi] regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell'umido dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l'apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d'estate sia d'inverno. Infatti nel diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limite all'azione disgregante dei batteri, e così non v'era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo".

Secondo me, basterebbe un incipit come questo per stimolare la lettura, magari l'acquisto di un romanzo. Ma proseguiamo: dopo due pagine scopriamo che la giovane madre del futuro protagonista, tale Jean-Baptiste Grenouille, lavora alla bancarella di un pescivendolo. E' piena estate, siamo tra gli afrori del mercato di Rue aux Fers e lei sta squamando dei pesci, allorché viene presa con violenza dalle doglie del parto:

"La madre di Grenouille - che era ancora una giovane donna, giusto sui venticinque, che era ancora molto carina e aveva ancora quasi tutti i denti in bocca e un po' di capelli in testa, e tranne la gotta e la sifilide e una leggera tisi non aveva nessuna malattia grave; che sperava ancora di vivere a lungo, forse cinque o dieci anni, e forse persino di arrivare a sposarsi e avere figli veri come moglie rispettabile di un artigiano vedovo o qualcosa di simile - la madre di Grenouille, avrebbe voluto che tutto fosse già passato. I quattro precedenti li aveva sbrigati fuori del bugigattolo di pescivendolo e tutti e quattro i bambini erano nati morti o mezzi morti, perché la carne sanguinolenta che usciva da lei non era molto diversa dalle interiora del pesce là sul banco, e la sera tutto insieme veniva spalato via e trascinato col carro al cimitero o giù al fiume. E così quando cominciarono le doglie si accucciò sotto il banco da macello e partorì là, come le altre quattro volte, e con il coltello da pescivendolo troncò il cordone ombelicale alla cosa appena nata. Ma subito dopo, a causa della calura e del puzzo, che lei non percepiva in quanto tali, bensì soltanto come qualcosa di insopportabile, che la stordiva - come un campo di gigli o una camera angusta in cui ci siano troppi narcisi - perse i sensi, si rovesciò su un fianco, scivolò da sotto il banco in mezzo alla strada e là giacque, con il coltello in mano. Grida, un gran correre di gente, la folla in cerchio con tanto d'occhi, si chiama la polizia. La donna con il coltello in mano è ancora là sulla strada, a poco a poco ritorna in sé: che cosa le è successo?"

A questo punto, decisamente il romanzo - per me - è da comprare, non solo da sfogliare in libreria. (Io però, fortunato che sono, l'ho avuto in regalo da un'amica, alla quale da qui esprimo tutta la mia riconoscenza!) Dunque, dicevo: è appena nato Jean-Baptiste, che però benché sepolto sotto spazzatura e interiora caccia un urlo. La folla e la polizia individuano subito il corpicino: la madre snaturata viene immediatamente portata a un posto di polizia, interrogata (lei confessa candidamente che avrebbe tranquillamente lasciato morire quella "cosa", come ha fatto le altre volte) e spedita alla ghigliottina per infanticidio plurimo. Il fatto che il nuovo nato, come primo atto (l'urlo) decreti la morte della madre, è sintomatico del genere di eventi che seguiranno. Fra i quali, uno subito si impone: in quel mondo di puzze, il bambino "non ha odore", insomma non ha l'odore dolciastro o acidulo o a volte di caramello di tutti i neonati. Inoltre è una creatura brutta, anzi repellente. Crescendo, resterà un tipo solitario e scostante, totalmente immerso in un suo mondo di cui gli estranei riusciranno a cogliere ben poco. Qual è questo mondo? Quello degli odori, dei profumi. Jean-Baptiste è una creatura dotata d'un olfatto straordinario, superumano, quasi alieno, al punto che ciò condizionerà la vita propria e di altri. Suo unico scopo sarà inseguire, cogliere, districare, ricomporre (anche solo mentalmente) profumi, e crearne di nuovi, assolutamente straordinari. Peccato che questa sua attività - perseguita con una determinazione quasi disumana - si scontri con "piccoli" inconvenienti. Per esempio una sera, ormai adolescente, Jean-Baptiste coglie nell'aria della notte e nel buio un profumo nuovo, esaltante, eccitante: ne diviene subito schiavo, deve trovarlo e farlo suo. Nel buio dei vicoli (guidato solo da un fiuto più efficace di un faro da navi) riesce a inseguire l'effluvio, entra in un cortile... E' lì, è una ragazza appena adolescente:

"Non vide il suo bel viso cosparso di lentiggini, la bocca rossa, i grandi occhi verdi brillanti, poiché teneva i propri occhi ben chiusi mentre la strozzava, e la sua sola preoccupazione era quella di non perdere neppure la minima parte dell'odore di lei.

Quando l'ebbe uccisa, la depose a terra tra i noccioli delle mirabelle, le strappò il vestito e il flusso di profumo divenne una marea, che lo sommerse con la sua fragranza. Affondò il viso nella sua pelle e passò le sue narici dilatate dal ventre al petto, al collo, sul suo viso e tra i capelli e di nuovo sul ventre, poi giù fino al suo sesso, sulle sue cosce, sulle sue gambe bianche. S'imbevve di lei dalla testa ai piedi, raccolse gli ultimi resti del suo odore sul mento, nell'ombelico e tra le pieghe dell'incavo del gomito.

Quando l'ebbe annusata fino allo sfinimento, restò accovacciato accanto a lei ancora un momento per riprendersi, perché era stracolmo di lei. Non voleva sprecare nulla del suo odore. Prima doveva bloccare i suoi compartimenti interni".

Raccontare il seguito di questo sorprendente romanzo (un seguito che certamente mantiene le promesse delle prime pagine) significherebbe fare un torto agli interessati. Aggiungo che Jean-Baptiste esce indenne dall'omicidio; per vivere si è sempre adattato ai lavori più duri, strani, umilianti e pericolosi (ancora ragazzino ha lavorato per sedici ore al giorno in una conceria di pelli, una delle attività dalle quali non si torna indietro perché si ha a che fare con acidi, solventi, interramenti e dissotterramenti, bolliture, col rischio di orribili infezioni, come il carbonchio, che lui si prende riuscendo a sopravvivere), seminando fra l'altro una scia di disgrazie e lutti sul suo passaggio. Infine troverà un lavoro presso uno dei più noti profumieri di Francia, creando per lui essenze come mai si sono annusate: un lavoro, questo, che egli però accetterà solo per cercare di perfezionarsi in vista della creazione di ben altri aromi. Un'idea del suo mondo particolare la dà, per esempio, una scena in una chiesa dove egli è entrato per puro caso:

"Rimase seduto ancora un poco e inspirò l'aria satura d'incenso. E sul suo volto passò un sorriso di compiacimento: che odore scadente aveva questo Dio! Non era nemmeno un vero profumo d'incenso, era un cattivo surrogato, adulterato con legno di tiglio e polvere di cannella e salnitro. Dio puzzava. Dio era un povero puzzoncello... Veniva ingannato, questo Dio, oppure lui stesso era un impostore, non diversamente da Grenouille... soltanto, molto peggiore!"

Nella lunghissima, paziente attesa del suo apprendistato Jean-Baptiste si comporterà quindi "come una zecca, che se ne sta quieta sopra un albero e sopravvive con una minuscola goccia di sangue succhiata anni prima. La zecca piccola e brutta, che modella il suo corpo grigio-piombo come una palla, per offrire al mondo esterno la minima resistenza possibile, e sta rannicchiata e si limita a fiutare il sangue di animali di passaggio... Finché il caso le porta il sangue nella forma di un animale sotto l'albero: e solo allora si lascia cadere, si aggrappa e scava con unghie e denti alla carne altrui". Uno dei profumi che Jean-Baptiste in seguitò vorrà creare, sarà una sorta di essenza d'uomo, che egli indosserà come un abito quando vorrà essere notato (di solito egli, inodoro, passa assolutamente inosservato):

"Questo suo nuovo distillato non aveva l'odore di un profumo, bensì di un uomo che ha un profumo. Se qualcuno avesse sentito questo profumo in una stanza buia, avrebbe creduto che nella stanza ci fosse un altro. Per imitare tale profumo umano, Grenouille raccolse qua e là nel laboratorio di Runel gli ingredienti più stravaganti. Dietro la soglia della porta che conduceva in cortile c'era un cumuletto di merda di gatto, ancora abbastanza fresca. Ne prese un mezzo cucchiaino e lo mise nella bottiglia per la miscela assieme ad alcune gocce d'aceto e a sale pestato. Sotto il tavolo da lavoro trovò un pezzetto di formaggio grande quanto l'unghia di un pollice, resto evidente di un pasto di Runel. Era già abbastanza vecchio, cominciava a decomporsi ed emanava un odore acre e pungente. Dal coperchio del barile delle sardine, che si trovava nel retrobottega, grattò via un qualche cosa che sapeva di pesce rancido, lo mescolò con uovo marcio e castoreo, ammoniaca, noce moscata, limatura di corno e cotenna di maiale ridotta in briciole minute. Vi aggiunse inoltre una porzione piuttosto consistente di zibetto, mescolò questi orridi ingredienti con alcool, fece macerare il tutto e lo filtrò in una seconda bottiglia. Il liquido emanava un odore spaventoso. Puzzava di cloaca, di putrescenza (...)". Ma dopo vari rimescolamenti, incroci e distillazioni, ottiene ciò che aveva intuito. Naturalmente ciò gli servirà per meglio districarsi nel mondo e porre in atto il suo ultimo, "definitivo", sovrumano progetto... Non dirò quale, aggiungendo solo che ricominceranno ad apparire cadaveri di bellissime fanciulle appena adolescenti.

Perché recensire su Delos un romanzo come Il Profumo? La prima risposta è che il libro, pur non essendo fantascienza (non viene mai data una spiegazione della dote superumana del protagonista) è però molto attiguo al genere per la sua tematica, nonché per la consequenzialità - che direi "scientifica" - del suo sviluppo. E comunque esso appartiene senz'altro al fantastico. Un fantastico che, come spesso accade, si tinge di allegoria, proprio perché certe premesse non sottostanno al tipico processo di razionalizzazione che è della fantascienza. E quale può essere il senso di questo libro davvero poco comune quanto ad argomento, forza evocativa della scrittura, capacità di catturare attenzione e fantasia del lettore, ma anche di irridere con causticità ad alcuni comportamenti umani? Il risvolto di copertina spiega che la mostruosità del protagonista è nella sua incapacità di "darsi" al mondo, è in quel suo rubare le altrui esistenze, per cui egli è più che mai un "eroe del nostro tempo". Da parte mia aggiungerei (specularmente) che i comportamenti di Grenouille mettono in grottesca evidenza la stupidaggine, il conformismo, la superstizione, la beota sicurezza, e in definitiva la fragilità di chi gli vive intorno, insomma delle persone "normali".

Patrick Süskind è nato in Baviera nel 1949; Il Profumo uscì nel 1985 ed ebbe subito vasta risonanza. Altre opere di rilevo: i romanzi Il piccione (1987) e Storia del signor Sommer (1992), il lavoro teatrale Il contrabbasso (1986), la raccolta di racconti Ossessioni (1998).