Il genere catastrofico viene spesso associato agli scrittori inglesi, la scuola anglosassone vanta infatti una nutrita schiera di autori che hanno immaginato la fine della civiltà, e a volte anche della vita stessa, nei modi più disparati e fantasiosi, a partire da L'ultimo uomo di Mary Shelley fino agli incubi del dopoguerra, ben incarnati da autori come Wyndham, Christopher e Ballard.
Tuttavia non mancano autori di altre nazioni, e un esempio rappresentativo è sicuramente René Barjavel, che con il suo Diluvio di fuoco può essere considerato uno dei precursori del genere.
Il romanzo è ambientato in una Parigi molto diversa da quella dei nostri tempi, l'anno è il 2052, e la metropoli è diventata una vera e propria "Ville Radieuse", dove la tecnologia ha edificato quella che sembra una splendida utopia, venticinque milioni di persone vivono nel lusso, nuovi materiali permettono costruzioni arditissime, grazie alle fabbriche di cibo a onde radianti la natura si è ripresa gran parte del territorio, e il superamento dell'energia atomica ha permesso di debellare l'inquinamento.
Il protagonista, François Deschamps, arriva a Parigi dalla Provenza, una delle poche zone dove ancora la terra viene coltivata con gli antichi metodi, solo per scoprire che la donna che ama, Blanche Rouget, sta per diventare una diva della canzone e sposerà Jérôme Seita, guarda caso potente proprietario di Radio-300.
Sebbene determinato a non cedere François non ha molte posssibilità contro il potente magnate, ma improvvisamente la base stessa della civiltà, l'energia elettrica, viene a mancare di colpo.
Da paradiso Parigi si trasforma immediatamente in un inferno di morte, fame e malattie, François e Blanche fuggono verso sud, dopo aver raccolto intorno a sé un gruppetto di disperati.
Arrivati, dopo mille peripezie, in Provenza troveranno finalmente un posto dove far rinascere la convivenza civile, in una forma molto differente rispetto a quella crollata nel fuoco.
Il destino però racchiude sempre qualche sorpresa, e il male sceglie strane forme per ripresentarsi, riuscirà la nuova umanità a resistere o cederà ancora una volta alle lusinghe delle macchine?
Diluvio di fuoco è diviso in tre parti distinte, la descrizione della società futura, grandiosa e splendente ma minata internamente, la fuga verso Vaux, vero e proprio percorso iniziatico che serve alla maturazione spirituale dei superstiti, e la descrizione della società creata da François, legata strettamente alla terra e quindi intrinsecamente forte.
La descrizione della Parigi futura ha una certa forza evocativa, nonostante mi sia riuscito difficile digerire alcune cose, come il latte distribuito mediante condotte (lattedotti?) in tutte le case, o i morti rimpiccioliti e conservati in criogenesi nei salotti, è tuttavia evidente che Barjavel ritenga che questa tecnologia abbia un prezzo, e salato.
Esemplificativo in proposito il brano in cui si racconta di un incidente in cui i passeggeri di un vagone ferroviario, a seguito di un terrificante urto, erano rimasti feriti gravemente o morti ma il vagone stesso, costruito in plastic, non si era nemmeno deformato.
Fieri, gli ingegneri avevano commentato che "Non era colpa della Compagnia se il contenuto non aveva la stessa resistenza del contenente!", il prezzo per l'agiatezza è l'anima stessa dell'uomo.
La fuga è costellata mille pericoli, quasi tutti legati alla natura, ma anche da episodi quasi mistici, si veda l''incontro con il pazzo che crede di essere Gesù o la nascita di un bambino al quale un pastore e la moglie portano dei doni.
Anche l'apocalittica scena della messa celebrata dalla Tour Eiffel ha toni mistici, Dio stesso sembra voler castigare l'umanità, del resto Barjavel intendeva dare al romanzo il titolo "Colère de Dieu", la collera divina, ma ne venne dissuaso dall'editore.
La società nata dalla catastrofe, del resto, non avrebbe sfigurato nel medio oriente del primo secolo A.C., e la figura di François sembra ricalcata su quella di un patriarca biblico, precisamente Mosé dopo la fuga dall'Egitto.
Opera prima Diluvio di fuoco risente dei terribili tempi di guerra e dell'immaturità dello scrittore, che in seguito tornerà con opere dove la sfiducia nella scienza è presente ma non grava come una cappa soffocante sulla storia, qui mi sono scoperto spesso annoiato dalle disavventure di François e compagni, più un libello di propaganda religiosa che un romanzo.
Purtroppo per lui Diluvio di fuoco richiama altre opere di fantascienza con lo stesso tema, da Quando le macchine si fermeranno, di Christophel Anvil, altro romanzo dove l'elettricità svanisce di colpo, a Morte dell'erba, di John Christopher, dove la fuga dei protagonisti ha ben altra credibilità e la tensione narrativa ti prende alla gola senza lasciarti più, con tutte il confronto è impietoso per l'opera di Barjavel.
Il cattivo della storia, Jérôme, che stava portando (a dire il vero con poche difficoltà) Blanche sulla strada della perdizione, muore subito in modo stupido, togliendo di mezzo quello che poteva essere un motivo di interesse, sia lui e gli altri personaggi sono sagome senza spessore.
Il finale è esattamente opposto a quello di un racconto di John Wyndham, La ruota, dove in una società postcatastrofe un ragazzino inventa una cosa proibita, appunto la ruota, inutile dire che anche in questo caso il romanzo di Barjavel ne esce con le ossa rotte.
Si aggiunga che le idee dell'autore mi hanno lasciato l'amaro in bocca e il quadro è completo, se quella di François è la società ideale dove vivere viva il progresso, con inquinamento e stress annessi.
In definitiva credo che il romanzo dell'autore francese possa divertire solo chi stravede per le opere catastrofiche e non fa tanto caso ai sottofondi più o meno misticheggianti.
Una nota di plauso alla copertina, che ho trovato affascinante e in tema con il romanzo, quanto all'edizione è rimasta quella tradotta da Monicelli, ampliamente tagliata rispetto all'originale, ma a pensarci bene forse è meglio così.
Nato a Nyons (Drome) nel 1911 René Barjavel esordisce come giornalista nel 1929, per poi diventare direttore direttore editoriale e, nel 1943, scrittore.
Fortemente influenzate dalla guerra e dall'occupazione tedesca di Parigi le sue opere, da Tempesta di fuoco (Ravage, 1943) a La notte dei tempi (La nuit des temps, 1968), passando per Il viaggiatore imprudente (Le voyageur imprudent, 1944), e Le diable l'emporte (1948), sono improntate a un pessimismo profondo, uno scetticismo verso il progresso che non lascia speranze.
L'epigrafe che apre Le diable l'emporte, storia della costruzione di un rifugio che ha lo scopo di salvare qualche uomo dalla guerra che sta per spazzare via la civiltà, è decisamente indicativo: "A nostro nonno, ai nostri nipoti, l'uomo delle caverne".
Barjavel ci ha lasciato nel 1985.
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