Per la discarica B, che è lontana, chiamo un taxi. Arriva, salgo. Anche l’interno del taxi puzza. L’auto riparte al volo, quasi dovesse portarmi al pronto soccorso. Ih! Pochi lo sanno: l'inquinamento in auto è sestuplo di quello su strada. Quasi converrebbe prendere una bici. Nell'abitacolo il benzene supera 35 volte il limite accettabile. In bici, invece? Beh, se scegliete una via di campagna e pedalate veloci per ossigenarvi (si fa per dire), anziché benzene assorbite sterco chimico delle piante. (Disinfettanti, ormoni, antidiserbanti, coloranti). E io continuo a ridermela!
Toluene, benzene, xilene. Sissignori, siamo esposti giornalmente a circa 550 composti chimici. Nel 2004 erano 300 ma oggi, nel 2012… io me la rido, perché nella chimica velenosa zozza cancerosa virulenta teratologica stramaledetta ci navigo!
– Vai alla discarica B – ho detto al tassista, cogliendo la sua smorfia di disgusto. Poi mi ha guardato dallo specchietto in silenzio e ha messo la mascherina (puzzo tanto anch’io?!) Ecco, la sua smorfia è l’esempio tipico d’uno sciocco riflesso condizionato: la discarica B non è più velenosa del centro città! E’ questo che la gente non si infila nella zucca: che superato un certo margine non esiste più un margine, centro o periferia o l’inferno sono uguali. Cosmetici, detersivi, sigarette al catrame, contenitori alimentari, il contenuto dei contenitori alimentari, gli stessi alimentari: i “valorizzanti” (li chiamano così per non spaventare, in realtà: “cancerogeni”)…
– Arrivati! – annuncia trionfante il tassista e spalanca veloce lo sportello. Pago. Si è infilato un’altra mascherina sulla mascherina! Non si accorge che devo ancora dargli quattro euro, risale in macchina e schizza via con una sgommata.
Guardo la discarica B. L’annuso.
La percepisco sulla pelle. Nello stomaco, nelle budella.
…E mi sento a casa mia.
Montagne, himalaya, tsunami di rifiuti. Il tanfo (o l’odore: ho detto cosa succede oltre un certo limite) è alle stelle (“stelle” adesso mi suona strano: nel cielo notturno sono scomparse e quando non pronunci da tempo una parola ti sembra nuova). Direi quasi che mi sento a casa!
Nei pressi del cancello c’è Marzia.
– Come hai fatto a precedermi, hai volato?
Lei mi prende sotto braccio e risponde con un sorriso: – L’amore ha le ali ai piedi, non lo sai?
Entriamo.
Il guardiano, Pasquino, è un uomo di mezz’età grasso, calvo, con brutti nei sulla faccia e sul cocuzzolo. Ci sorride lasciandoci passare, siamo habitué del luogo. – Da quel vialetto? – sussurra lei stringendomi una mano. Mi accorgo che la sua è un po’ viscida. Ci avviamo. Gli effluvi prorompono da ogni lato, hanno una gamma diversificata ma il tratto comune strisciante è la decomposizione. Vediamo colline enormi d’immondizia ancora non inscatolate: fumano. Un normale processo chimico d’autocombustione spontanea. Una persona non avvezza, delicatina, potrebbe vomitare. Forse svenire. Mi sbellico! Do la pilloletta promessa a Marzia (è un semplice analgesico) e proseguiamo. Poco dopo ci fermiamo, sediamo su un cassone metallico sfondato.
– Guarda! – mi dice Marzia. Il tanfo è alle stelle (“tanfo”, “stelle”?) Le ondulazioni sono interminabili, la città è scomparsa, da un lato svettano contro il cielo opaco cime di meccanismi scrostati e rugginosi per la lavorazione dei rifiuti, ma c’è silenzio. Finalmente! Un po’ di pace, via dal mondo insensato.
Ci guardiamo negli occhi. Marzia ha un sorrisetto malizioso, lentamente incomincia a spogliarsi. Dentro comincia a salirmi qualcosa. La divoro con lo sguardo. Una tetta schiocca fuori dal bordo del reggiseno con un plop! Mi strappo i vestiti di dosso, l’afferro, la spingo, quasi la scaravento contro una collinetta…
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