La monolitica fantascienza cinematografica degli anni Cinquanta, Kubrick e la Nasa sono i veri grandi nemici di questo film di Brian De Palma comunque interessante nonostante un'incosistenza di fondo a tratti abbastanza irritante. Tre elementi 'bollenti' e difficili con cui il regista di pellicole come Scarface o Gli intoccabili non ha voluto o non ha saputo confrontarsi in maniera adeguata alle aspettative smaliziate del pubblico. I personaggi di questo film sono, infatti, tutti eroi duri e puri come nelle pellicole di cinquanta anni fa, modelli quasi archetipici dalla fede incrollabile privi di dubbi e animati da un coraggio intellettuale ancora prima che morale, in grado di connotare le loro azioni ammantandole di un pudore tipico dei film di casa Disney.
Uomini e donne che nonostante qualche vago accenno pecoreccio (ma è un finto provincialismo cowboy che possiamo ritrovare nei film western e che mira in realtà a fare sorridere il pubblico americano) hanno in mente soltanto le loro missioni spaziali per cui sacrificherebbero tutto (principalmente la vita). Appena arrivati su Marte per un'azione di soccorso dopo sei mesi di viaggio, due astronavi distrutte per salvare quattro astronauti probabilmente morti, si sentono addirittura in dovere prima di ogni altra cosa di sollevare la bandiera americana dalla polvere del pianeta rosso... Comportamenti tipici di un drammone d'epoca traslato nel duemila con protagonisti degli eroi che parlano per slogan da duri sullo stile di John Wayne. Uomini che hanno lasciato i cavalli delle praterie per saltare in groppa ad astronavi che li portano nei deserti di un pianeta a duecento milioni di chilometri, che per la verità ricordano (a causa delle ambientazioni delle riprese) quelli dei classici come Ombre Rosse o Colorado. E la NASA con il suo stile lineare e realista non aiuta una pellicola in cui quattro astronauti (tre uomini e una donna moglie del capo missione) vanno a salvare i loro amici (anche lì tre uomini ed una donna) creduti tutti morti per colpa di una misteriosa tempesta di sabbia. Rispetto ai viaggi di prima classe di Star Trek o alle atmosfere rarefatte di Kubrick, questi viaggiatori siderali sembrano pendolari di seconda classe su trappole con tanto di ruota gravitazionale, messa in bella mostra per sostituire il Danubio Blu alle note dei Van Halen che De Palma predice rimanere in vetta alle classifiche anche nel 2020. La navetta spaziale, lontana perfino dai grintosi shuttle di Armageddon sembra in realtà una lattina mal riuscita epoco funzionale agli intenti di una pellicola spettacolare. E al realismo deprimente della tecnologia spaziale della nostra epoca fa da sponda un pietoso commento musicale scritto da Ennio Morricone, ennesimo clone di se stesso, incapace di cimentarsi con una storia il cui vero punto di forza sta nell'ultima mezz'ora di fantascienza pura in stile Contact in grado di riscattare la maggior parte dei cliché e delle ingenuità più o meno voluti. Il vero tarlo di questo film è il paragone (ma era davvero inevitabile?) con Kubrick. De Palma affronta il maestro con le stesse situazioni e inquadrature di 2001. Il gusto discutibile delle sue scelte registiche (dopo Snake Eyes il piano sequenza è un must ossessivo) perde il confronto soprattutto per quanto riguarda le atmosfere. Il rarefatto mistero di Hal si scontra con uno spirito quasi da boy scouts dello spazio che lascia il tempo che trova.
Mission to Mars si rivela dunque essere un film di genere su cui gli intenti commerciali pesano come un macigno, riscattato parzialmente, però, da un messaggio filosofico carico di ottimismo in grado solo di riecheggiare quella fantascienza con la F maiuscola che per quanto riguarda le storie ambientate nello spazio, negli ultimi anni non ha prodotto un numero eccessivamente alto di capolavori.
Non resta altro se non sperare nella prossima missione spaziale di Red Planet in cui Carrie Ann Moss, Terence Stamp e ahimé Val Kilmer toccheranno nuovamente le rosse sabbie di Marte. Forse lì la retorica da figli dell'impero lascerà il posto alla vera Fantascienza.
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