Alla luce delle molteplici manchevolezze sopra evidenziate è legittimo chiedersi: tutto da rifare dunque, in quest’ultimo libro? No di certo. Permane indubbiamente lo stile godibile, scorrevole e spiritoso dell’autrice, sempre calibrato in maniera da non risultare mai piatto ma neppure troppo aulico - e dunque stucchevole - come quello di certi volumi di genere: un pregio che le ha valso un pubblico assolutamente trasversale per età e livello di istruzione.

Risulta inoltre molto intrigante immergersi un po’ nel passato trascorso dai Potter a Godric’s Hollow e soprattutto in quello misterioso di Silente, che riserverà notevoli colpi

La scena del ballo in <i>Harry Potter e il calice di fuoco</i>
La scena del ballo in Harry Potter e il calice di fuoco
di scena, al punto da stravolgerne parecchio la figura integerrima mostrata sin qui. E, sotto il profilo degli stravolgimenti, anche Piton serba delle sorprese, o forse delle conferme per chi ne aveva già intuito la complessità attraverso le pagine del precedente Harry Potter e il Principe Mezzosangue

È presente poi un’apprezzabile maturazione psicologica di molti personaggi, soprattutto dei giovani protagonisti maschili: Harry Potter e Ron Weasley in primis ma anche alcuni importanti comprimari come Neville Paciock, il quale sfodererà un coraggio degno del miglior Grifondoro che neppure lui, probabilmente, sospettava di possedere. In particolare, Harry riuscirà finalmente a integrare mente e cuore, abbandonando l’impulsività che lo ha sempre contraddistinto e imparando a operare scelte estremamente ponderate, anche se mosse dalle emozioni. Notevoli, sotto questo profilo, alcuni passaggi introspettivi a lui dedicati. L’unico limite in questa crescita è dato dal fatto che il ragazzo è spesso aiutato dall’esterno e dunque, anziché servire da propellente per la storia, spesso attende di essere ‘imboccato’ o tolto dai guai da altri. In questo ruolo salvifico svetta soprattutto Hermione, un personaggio che invece aveva subito la sua più profonda maturazione già nella metà del primo libro e sulla quale la Rowling opera adesso delle semplici rifiniture sottolineandone particolarmente carisma, volizione e preparazione magica (in stridente contrasto con la figura di Ginny Weasley, relegata invece in un deludente secondo piano di ‘bella statuina’ che rimane a casa ad attendere l’eroe).

Dal canto suo Ron riuscirà negli ultimi capitoli, ad abbandonare finalmente il suo carattere infantile e narcisistico, dando prova di saper agire anche al di fuori della propria stretta sfera personale e abbracciando addirittura, anche se solo verbalmente, la causa elfica così cara a Hermione.

Facendo un bilancio, i pregi sopra evidenziati non bastano però ad attenuare una sensazione finale di amaro in bocca, di frettolosità e approssimazione, di una svolta più verso la fan fiction artigianale che verso una storia artisticamente solida. Le successive dichiarazioni rilasciate dalla Rowling a spiegazione e corollario degli avvenimenti non contribuiscono affatto ad alleggerire questa impressione, tutt’altro: se l’autrice sente il bisogno di spiegare, di precisare e di intervenire continuamente su ciò che ha scritto, è legittimo dubitare della completezza del lavoro dato alle stampe. E’ inoltre discutibile il fatto che, una volta liberati i propri personaggi e consegnatili ai lettori, la scrittrice pretenda di continuare a esercitare, su queste creazioni, qualche forma di controllo rivelando aspetti della loro personalità tenuti sinora nel segreto del proprio cassetto: che senso ha, per esempio, annunciare ora che Albus Silente è omosessuale? La circostanza nulla toglie o aggiunge alla trama o alla sua figura rispetto alla trama. Silente fa ormai parte dell’immaginario collettivo attraverso ciò che la Rowling ci ha esplicitamente raccontato nelle sue pagine. Tutto il resto è pura speculazione, anche

I protagonisti di <i>Harry Potter e il calice di fuoco</i>
I protagonisti di Harry Potter e il calice di fuoco
se proviene dalla persona che l’ha ideato, perché tutto il resto è avulso da quelle pagine che sono l’unico monumento al personaggio in grado di giungere anche ai posteri. E, d’altro canto anche il lettore ha diritto alla propria speculazione personale, senza suggerimenti esterni, perché quando il creatore consegna la sua creazione al pubblico affinché la condivida, ne perde l’esclusiva letteraria (cosa ben diversa da quella strettamente legale) e deve concedere a ciascuno di appropriarsi dei personaggi per poterli metabolizzare secondo i propri valori e secondo la propria esperienza. La scrittura è infatti un esercizio di solitudine finché ci si limita a fissare l’inchiostro sulla pagina; ma volerlo mantenere tale va contro ogni intento artistico, il quale necessariamente si nutre dell’interazione con gli altri, altrimenti si ripiega narcisisticamente su se stesso. Perché l’arte nasce dall’insopprimibile bisogno umano di esprimere la propria interiorità, ma incontra la sua compiutezza solo nel momento in cui la forma espressiva prescelta viene condivisa, in quanto solo così è in grado di arricchire e arricchirsi. E allora un dono così grande non può essere condizionato, e un personaggio letterario non può recitare la parte di una marionetta di cui il suo burattinaio si ostina a voler monopolizzare i fili anche a sipario calato.