Ma soprattutto manca lei, la regina di questa saga, l’ambientazione da sogno che gli ha fatto da cornice lungo i primi sei volumi: la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Anziché muoversi, come ormai consuetudine, all’interno della vita didattica, I Doni della

A tutto ciò si aggiunga che, nel tessuto narrativo, si ravvisano insolite incongruenze, con regole magiche che improvvisamente si modificano rispetto a quanto conoscevamo finora (il comportamento delle bacchette, gli effetti della Pozione Polisucco, gli effetti dell’Incanto Fidelius), in modo da potersi piegare alle esigenze contingenti della trama. Inoltre, alcune risposte ai legittimi dubbi che si presentano al lettore strada facendo non suonano convincenti: per esempio può Voldemort, fantastico Legilimens, non essere a conoscenza del legame fra Harry e Ginny? O non accorgersi dello stratagemma ideato da Ron per giustificare la propria assenza da Hogwarts? Oppure ancora non essere in grado di estorcere informazioni ai genitori di Hermione solo per via di un incantesimo con cui la figlia ha modificato loro la memoria?
Ancora: alcune sottotrame importanti, come per esempio le dinamiche interpersonali all’interno del Primo Ordine della Fenice, non vengono trattate e invece la loro presenza ci avrebbe aiutato a mettere a fuoco molti dettagli della storia presente.
Infine, viene aperta una nuova sottotrama che sembra inserirsi a forza nell’ordito già sapientemente intessuto in questi anni. La scrittrice stravolge così, a beneficio di qualche discutibile fuoco d’artificio, un finale che, se si fosso mosso secondo i binari pre-tracciati, avrebbe avuto un impatto ben più incisivo del meccanicistico (e intricato)

Questa nuova sottotrama è anche quella che dà il titolo all’opera, un titolo così misterioso da risultare, di primo acchito, incomprensibile persino ai madrelingua. Lunghe sono state infatti, prima della pubblicazione, le dispute sui siti di lingua anglosassone sul possibile significato, viste le molteplici accezioni del termine ‘hallow’. Derivato dalla radice medioevale ‘halowen’, a sua volta filtrata attraverso un più antico anglosassone ‘halgian’ (“rendere sacro”), esso designa l'aggettivo "sacro, santo". In particolare, l'Oxford dictionary classifica il termine, al singolare, come un nome arcaico designante "un santo o una persona considerata sacra", mentre l'Hazon-Garzanti riporta espressamente una voce al plurale ‘hallows’ col significato di "reliquia dei santi". In Italiano però, benché il senso letterale di ‘reliquia’ non abbia una coloritura religiosa - in quanto semplice sinonimo di "avanzo, ciò che resta di qualcosa" – nella comune percezione questo termine si collega necessariamente a un connotato sacrale. Per evitare questa sfumatura di fondo, che alla luce del contenuto del libro sarebbe stata fuorviante, la casa editrice Salani deciderà perciò di tradurre l’enigmatico titolo con Harry Potter e i Doni della Morte. Una soluzione un po’ semplicistica (oltre che spoilerosa) ma accettabile, anche se priva di quelle coloriture simboliche di cui invece gli “hallows” della vicenda sono ricchi. Osando un po’ di più, si sarebbe potuto optare in realtà per un altro vocabolo, un compromesso fra il significato letterale e aulico di “hallow” e il significato che esso assume nell'economia della storia narrata nel libro: gli Hallows si riferiscono infatti agli oggetti donati suo malgrado dalla Morte agli antenati comuni di Harry e Voldemort dopo che questi erano riusciti a metterla in scacco. Sotto questo profilo allora, la parola “pegni” avrebbe assolto meglio entrambe le funzioni.
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