La spintronica potrebbe rappresentare la prossima frontiera dell’elettronica, almeno in attesa di scoprire l’effettiva praticabilità della via quantistica. La sua prerogativa è di fare uso non solo della carica elettrica degli elettroni, come avviene nell’elettronica convenzionale, ma di sfruttarne anche il momento angolare intrinseco, il cosiddetto spin ovvero, intuitivamente, il senso di rotazione, orario o antiorario, degli elettroni sul proprio asse. Se la spintronica ha già ricevuto le sue prime applicazioni commerciali (fin dal 1998 le testine di lettura degli hard-disk usano un effetto spintronico, la magnetoresistenza gigante, per rilevare sulla superficie dei dischi i domini magnetici che rappresentano i bit dei dati archiviati), nei prossimi anni potremmo cominciare ad apprezzarne le potenzialità in misura sempre maggiore. A partire dalle cosiddette MRAM, acronimo di memoria ad accesso casuale a magnetoresistenza, che come i dischi rigidi memorizza l’informazione sfruttando la magnetizzazione del supporto. Queste memorie non volatili potrebbero presto portare a computer in grado di riavviarsi in una frazione di secondo, come i palmari, senza bisogno di caricare i programmi dal disco a ogni nuova accensione perché tutti i programmi e i dati necessari si trovano già pronti e inattesa nel chip. I processori spintronici, quindi, a differenza di quelli odierni che possono solo elaborare dati, potranno anche svolgere funzioni di memorizzazione. E sarà solo un altro passo verso tecnologie sempre più avanzate, che potrebbero portare a chip con circuiti logici che si potranno riconfigurare al volo.
Per capire meglio come si comporta lo spin, ricorriamo all’analogia corpuscolare dell’elettrone con una biglia in rotazione. Gli scienziati rappresentano lo spin con un vettore. Se la pallina ruota da ovest a est il vettore punta a nord, o “in alto”. Se la rotazione è inversa lo spin punta a sud, ovvero “in basso”. Allo stato attuale possiamo già immaginare due tipi di spintronica. Dispositivi come quelli già citati, testine di lettura e chip MRAM, sono strumenti in cui gli spin di molti elettroni sono allineati tutti in maniera analoga, come un insieme di trottole che ruotano tutte in uno stesso senso, orario o antiorario. Questi elettroni con spin polarizzati fluiscono attraverso il dispositivo, formando una corrente con spin polarizzati, una corrente di spin che ha molte analogie con un fascio di luce polarizzata. Ma esiste anche un secondo tipo di spintronica, di natura quantistica, che per funzionare richiede il controllo sui singoli elettroni per sfruttare le proprietà quantistiche dello spin. La spintronica quantisca potrebbe fornire un modo pratico per trattare l’informazione quantistica, maneggiando i bit quantistici (i cosiddetti qubit) che possono trovarsi in uno stato di sovrapposizione (e quindi intermedio, racchiudendo una quantità notevolmente maggiore di informazione) tra i classici bit di valore pari a 0 o 1. I calcolatori quantistici consentirebbero la realizzazione di una forma di elaborazione parallela estremamente veloce ed efficace in compiti come l’interrogazione dei database massivi e la fattorizzazione di grandi numeri, applicazione quest’ultima di estremo interesse nel campo della crittografia. Ma oltre a porre problemi per la sicurezza di tutte le transazioni che oggi compiamo via internet, il maggiore impatto di un futuro computer quantistico sarà dato forse dalla sua capacità di emulare altri sistemi quantistici, una possibilità oggi preclusa ai computer elettronici e che schiuderebbe l’accesso a un progresso senza precedenti nella comprensione del comportamento della materia su scala nanometrica, stravolgendo la ricerca in campi come la fisica, la chimica, la biologia e le scienze e tecnologie dei materiali.
Molti ricercatori confidano di sfruttare le acquisizioni dell’elettronica dello stato solido per arrivare all’impiego commerciale dei primi qubit allo stato solido. Comprovata la possibilità di localizzare e controllare singolarmente gli spin nei solidi e la stabilità dei qubit allo stato solido, si è scoperto che uno dei materiali più adatti ad ospitare gli spin è il diamante. Il diamante ha diversi primati: la durezza, la conducibilità termica più alta rispetto a qualunque altro solido, la trasparenza alla luce ultravioletta. E di recente si è aggiunto il suo possibile impiego nell’elettronica allo stato solido. Stiamo parlando di diamanti dalla spetto molto diverso dalle pietre preziose usate come gioielli. Grazie alla deposizione chimica da fase di vapore si ottiene la sintesi di pellicole sottilissime di diamante, dello spessore spesso di poche centinaia di nanometri ed estese su un’area anche di molti centimetri quadrai, da un gas come il metano. Il gas contenente carbonio e idrogeno è decomposto in singoli atomi per irradiazione attraverso microonde ad alta energia, permettendo agli atomi di carbonio di depositarsi su un substrato di silicio. Inserendo delle impurità nel cristallo che così si ottiene (atomi di azoto invece che di carbonio, accoppiati con lacune, ovvero posizioni vacanti nel reticolo) si porta il diamante a essere un semiconduttore con la possibilità di sfruttare lo spin della coppia N-V (azoto-lacuna). Un fatto cruciale appurato in sede sperimentale è che gli spin nel diamante hanno dimostrato una grande stabilità rispetto ai disturbi ambientali, con la capacità di manifestare un comportamento quantistico a temperatura ambiente, mentre in tutti gli altri sistemi solidi basati sull’elaborazione dello spin sono necessarie temperature bassissime per ottenerne la polarizzazione.
Stiamo ancora muovendo i primi passi, ma come dimostrano la varietà di studi e le ricerche specifiche condotte in questo campo dagli scienziati del Center for Spintronics and Quantum Computation dell’Università della California di Santa Barbara, tra cui David D. Awschalom, Ryan Epstein e Ronald Hanson, lasciano ben sperare per il futuro. Prima di quanto ci aspettiamo potremmo così ritrovarci nell’era del diamante della computazione. Quando i computer saranno per sempre…
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