Dal secondo racconto, che è tra gli ultimi scritti sui robot da Asimov, viene ripreso invece il soggetto centrale del film: i robot complottano per uccidere alcuni uomini e schiavizzare l’umanità in nome di una più alta interpretazione della prima legge: se questa, infatti, sostiene che «Un robot non può recare danno ad un essere umano o permettere che, causa la sua inazione, un essere umano riceva danno», interpretando uomo come umanità il robot si rende conto che l’umanità danneggia se stessa e per proteggerla da ciò deve prendere le dovute contromisure, togliendo all’uomo il libero arbitrio così dannoso per sé stesso. Ancora una volta, però, se nella storia originale la presa di potere da parte dei robot avveniva lentamente e silenziosamente – tanto che solo pochi, tra cui la Calvin, se ne rendono conto e prendono i dovuti provvedimenti – nel film i robot organizzano un golpe spettacolare a suon di scalate ai grattacieli (nemmeno si trattasse di King Kong) e guerriglia urbana (che ricorda molto 1999: Conquista della Terra della bellissima saga del “Pianeta delle Scimmie”). In realtà il tema della Legge Zero che si scorge tra le scene del film è uno dei più cari ad Asimov, tant’è vero che anche prima del già citato Che tu te ne prenda cura veniva discusso in Conflitto evitabile (1950), storia nella quale appariva anche Susan Calvin. Ma, e qui torniamo sul tema del rovesciamento dell’Asimov-pensiero, in questo racconto è emblematica la frase della Calvin per cui la futura, probabile dittatura delle macchine non è affatto orribile: «Forse invece è fantastico. Pensate che da ora in poi tutte le guerre saranno evitabili. Solo le Macchine saranno inevitabili». E quando, negli ultimi romanzi della Fondazione, Asimov dà a un robot, Daneel Oliwav, il compito di salvare l’umanità e indicarle il suo destino futuro, egli riprende lo stesso tema: tra i robot e gli umani dobbiamo preferire i primi perché incapaci di volere il nostro male. Come lo stesso Asimov sosteneva spesso, tra i computer e gli uomini i primi sono sempre da preferire perché incapaci di mentire (se si eccettua il robot del racconto Bugiardo! che pure mentiva interpretando estensivamente la Prima Legge attraverso la nozione della “bugia pietosa” che salva le ingenue illusioni di noi umani).Il finale new age del film, che riprende il “sogno” del robot protagonista Sonny, giunge addirittura a suggerire una futura emancipazione dei robot dalla loro schiavitù: niente di più lontano da quanto sosteneva Asimov, per il quale l’idea di una rivolta dei robot era remota quanto quella di uno sciopero delle nostre lavatrici domestiche. In definitiva Proyas non ha detto nulla di nuovo, rimaneggiando i vecchi topos della fantascienza più banale e pensando bene di usare come appeal il fortunato titolo dell’antologia asimoviana. Peccato che anche quello non fosse originale, perché apparteneva a un racconto degli anni ’30 firmato Eando Binder e venne utilizzato dall’editore in spregio delle proprietà intellettuali: probabilmente il regista di tutta la storia ha fatto tesoro solo di quest’ultimo espediente.
Io Robot, il nulla sul grande schermo
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