I Jedi e la forza
La saga si impernia sulla funzione della “forza” e dunque sui Jedi, che in qualità di suoi guardiani sono l’architrave narrativa della storia. La natura della forza è molteplice e ambigua. Per molti aspetti, soprattutto nella prima trilogia, essa appare come una forma di energia universale (“un campo energetico creato da tutti gli esseri viventi”), che crea la vita, fornisce una serie di poteri, rimandando alle concezioni religiose come l’induismo e il taoismo che assimilano le divinità a princìpi energetici. In quanto energia, questa forza può essere misurata quantitativamente, esiste nel mondo fisico e si lega agli esseri viventi attraverso i midichloriens, che vivono in simbiosi con i corpi in cui sono contenuti. Il legame non è però tanto chimico-fisico quanto psichico e volitivo. Siamo infatti informati nella seconda trilogia che questi midichloriens “comunicano il volere della forza”, che dunque è una vera entità intelligente.Abbiamo così diversi piani di esistenza di questa entità-sostanza. Essa appare come un principio unificatore del reale, tipico delle filosofie pre-socratiche, ma insieme come una vera divinità, per giunta immanente, dato che risulta misurabile, di cui i Jedi sono i sacerdoti (non a caso la loro sede è definita “il tempio”).Come succede per molti ordini monastici, i Jedi vengono scelti per le loro qualità innate quando sono giovanissimi, evidentemente per essere più plasmabili, laddove i “cattivi” Sith diventano tali da adulti, quando sono pienamente consapevoli delle proprie azioni.
Selezionato geneticamente, il Jedi subisce poi un indottrinamento politico-militare imperniato nel maneggio e poi nella costruzione della spada laser, un feticcio utile solo a evocare il medioevo, considerando che le battaglie vengono decise dalle astronavi. Sotto il piano morale, addestrarsi a “capire la forza” significa dominare le emozioni, con un chiaro riferimento al buddismo Zen, con contorno di concentrazione sul presente spazio-temporale e di superiorità dell’istinto sulla ragione. Questo addestramento morale è letteralmente castrante. Se la mortificazione della carne e delle pulsioni è un tratto comune a molte religioni, qui si raggiungono livelli parossistici. Yoda dice che un Jedi non deve ambire ad avere emozioni; dare sfogo alla rabbia e all’odio significa diventare cattivi. Tale mortificazione della propria parte emotiva è un’indicazione impossibile da seguire da parte di qualunque essere sociale cosciente e conduce fuori strada gli stessi Jedi: lungi dall’aiutarli, li rende fragili e inefficaci. Il succo della seconda trilogia, che narra della trasformazione di Anakin da bambino prodigio a feroce dittatore, sta appunto nella contraddizione tra i sentimenti positivi che sperimenta (l’amore per Patme, l’affetto per i suoi maestri) e il fatto che ai Jedi tutto ciò è vietato. Lo svolgimento della storia dimostra che uccidere i sentimenti non rende i Jedi migliori ma solo ciechi e la rinuncia agli affetti ha una parte decisiva nel passaggio di Anakin al lato oscuro. L’amore concreto per una piccola parte della vita stessa non contrasta affatto con l’amore astratto per ogni forma di vita, lo completa semmai.
Questa etica assoluta stona poi decisamente con la lezione di relativismo propinata da Obi Wan a Luke, quando, imbarazzato dalla sua scoperta delle bugie raccontategli sul destino del padre, risponde con una trita formulazione sul fatto che “le verità che affermiamo dipendono dal nostro punto di vista”. Che ne è allora dell’idea chiave che il lato oscuro sia il male? Forse che dal “punto di vista” dell’imperatore il lato oscuro non sia il “bene”?
I principi su cui si basa l’addestramento morale dei Jedi si dimostrano anche politicamente ambigui. Yoda dice che un Jedi usa la forza “per saggezza e difesa”, ma la storia evidenzia atteggiamenti estremamente aggressivi da parte dell’ordine. Tale ambiguità ideologica nasconde l’ipocrisia politica di individui personalmente pacifici e pacifisti, ma che formano una casta obiettivamente aggressiva, in quanto baluardo anche militare della repubblica. A che serve professarsi passivi e pacifisti quando si fa parte di un ordine guerriero? Yoda dice a Luke che “la guerra non fa nessuno grande”, lodevole massima, che però cozza con l’essenza stessa dei Jedi che sono, per l’appunto, un ordine militare.
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