> Non mi interessa molto vincere, se devo essere sincero. Sono solo contento che questa cosa venga fatta. L’alternativa era restare seduti e rigirarsi i pollici, in attesa che arrivasse qualcuno a sfondare la nostra porta d’ingresso.
Il cursore lampeggiava. Queen Kong rispondeva con lentezza, essendo impegnata a tenere a bada la sua banda di Googloidi a spasso per il Googleplex, e facendo il possibile per tenere in piedi il suo data-center. Tre dei centri oltreoceano erano andati offline e due delle loro sei linee dati ridondanti erano bruciate. Fortunatamente per lei, il numero di ricerche al secondo si era molto abbassato.
> La Cina c’è ancora
gli scrisse. Queen Kong aveva una grande lavagna con una mappa del mondo colorata a seconda delle ricerche che venivano fatte su Google ogni secondo, e riusciva a farci meraviglie, mostrando con grafici colorati l’evolversi del collasso. Aveva messo a disposizione un sacco di filmati che mostravano come le bombe e il morbo avevano colpito il globo: era evidente l’incremento iniziale di ricerche da parte delle persone che volevano capire cosa stesse succedendo, seguito dal macabro e improvviso decremento dopo che il morbo aveva cominciato a diffondersi.
> La Cina è circa al novanta per cento dei suoi livelli abituali
Felix scosse il capo.
> Non puoi credere che siano loro i responsabili
> No
gli rispose. Cominciò a scrivere ancora qualcosa e si interruppe.
> No, certo che no. Credo nell’Ipotesi Popovich. Gruppi di stronzi che si usano l’un altro come copertura. Ma la Cina è riuscita a sopprimerli con molta più decisione e velocità di chiunque altro. Forse abbiamo finalmente scoperto a cosa servono i regimi totalitari.
Felix non riuscì a resistere. Scrisse:
> Sei fortunata che il tuo capo non possa leggere quello che hai scritto. Voialtri eravate sostenitori piuttosto entusiasti del progetto del Great Firewall of China.
> Non è mai stata una mia idea
> E il mio capo è morto. Probabilmente sono morti tutti. Tutta la Bay Area è stata colpita duramente, e oltre a questo c’è stato il terremoto.
Avevano guardato il report automatico dell’USGS dopo la scossa di 6.9 gradi Richter che aveva sfasciato la California settentrionale da Gilroy fino a Sebastapol. Le webcam a Soma rivelavano la portata dei danni — esplosioni dovute al gas, edifici non completamente antisismici crollati come fossero modellini presi a calci. Il Googleplex, sospeso su una serie di molle d’acciaio giganti, era oscillato come un piatto di gelatina; i rack erano rimasti al loro posto e la ferita più grave era stato l’occhio nero di un sistemista che si era beccato una pinzatrice volante sulla faccia.
> Scusa, mi ero scordato
> Non fa niente. Tutti abbiamo perso qualcuno, giusto?
> Sì, sì. Comunque, non sono preoccupato per le elezioni. Può vincere chiunque, basta che facciamo QUALCOSA.
> Non se vince uno dei cazzoni.
Cazzoni era l’epiteto che alcuni sistemisti avevano adottato per riferirsi al gruppo che voleva spegnere Internet. L’aveva coniato Queen Kong. Inizialmente, a quanto pareva, lo utilizzava come nome comune per identificare tutti i manager IT incapaci che si era divorata nel corso della sua carriera.
> Non vinceranno. Sono solo tristi e stanchi. Con il vostro appoggio porteremo a casa il risultato
I Googloidi erano uno dei gruppi più grossi e potenti rimasti, assieme ai ragazzi dei collegamenti satellitari e a quelli dei collegamenti transoceanici. L’appoggio di Queen Kong era stato una sorpresa, e quando le aveva scritto lei aveva risposto succintamente: ‘non possiamo far governare i cazzoni’.
> gtg
gli scrisse, prima che le cadesse la connessione. Got to go, devo andare. Felix aprì un browser e provò ad andare su google.com. Ricevette un errore di time out. Premette il pulsante Aggiorna, successe di nuovo. Lo premette ancora, e la home page di Google tornò online. Qualsiasi cosa fosse capitata dalle parti di Queen Kong — blackout, worm, un altro terremoto — lei vi aveva posto rimedio. Sbuffò quando vide che avevano sostituito le O nel logo di Google con immagini di piccoli pianeti Terra, dai quali spuntavano funghi atomici.
— Hai qualcosa da mangiare? — chiese Van. Era tardo pomeriggio, sebbene il tempo sembrasse passare mai nel data center. Felix si controllò le tasche. Avevano nominato un quartiermastro, ma non prima che ognuno avesse avuto il tempo di imboscarsi della roba dalle macchinette. Felix si era preso una dozzina di barrette energetiche e qualche mela. Anche un paio di sandwich, ma saggiamente li aveva mangiati prima che diventassero stantii.
— È rimasta una barretta. — Quella mattina aveva notato che i pantaloni non gli stringevano più in vita, e se ne era compiaciuto per un po’. Poi però gli tornò in mente Kelly, che lo prendeva in giro per il suo peso, e si mise a piangere un poco. Mangiò due barrette, così gliene rimase una sola.
— Ah — rispose Van. La sua faccia era più scavata del solito, le spalle sempre più cascanti sul petto scarno.
— Ecco qua — gli disse Felix. — Vota Felix.
Van prese la barretta e la appoggiò sul tavolo. — Sai, vorrei tanto ridartela dicendo ‘No grazie, non potrei mai,’ ma ho veramente fame, quindi me la prenderò e me la mangerò, va bene?
— Non c’è problema. Buon appetito.
— Come vanno le elezioni? — chiese Van dopo che ebbe finito di leccare la carta della barretta.
— Non so, è un po’ che non controllo. — L’ultima volta che aveva guardato, aveva un piccolo margine di vantaggio. Non avere il proprio portatile era veramente scomodo in quelle situazioni. Su nelle sale server c’era un’altra dozzina di poveri disgraziati che, come lui, avevano lasciato la casa senza pensare di portarsi dietro qualcosa di Wi-Fi.
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