La notizia non è approdata e non approderà mai sulle copertine dei tg e sulle prime pagine dei quotidiani, ma per la comunità dei fisici, dei geologi e degli scenziati in genere che da più di un secolo di occupano dell'impatto nella località siberiana di Tunguska, la scoperta è di grandissimo rilievo. Una squadra di scienziati e ricercatori italiani sembra infatti aver individuato il punto esatto in cui si verificò nel 1908 il catastrofico impatto, coincidente con il bacino del lago Cheko, situato circa otto chilometri a nord rispetto al punto, finora solo stimato, dell'epicentro della catastrofe.
L'evento di Tunguska è uno di quegli avvenimenti che, trasfigurandosi, ha stimolato nel corso dei decenni la fantasia del grande pubblico. Tutto inizia il 30 giugno 1908, quando un'esplosione di devastante potenza distrugge un'area di circa 2000 chilometri quadrati, abbattendo tutto ciò che incontra compresi circa 60 milioni di alberi, le cui immagini fecero il giro del mondo diventando una metafora della distruzione assoluta. Nei successivi decenni le ipotesi più svariate vennero imbastite per spiegare il fenomeno; quella più immediata, la caduta di un meteorite o di una cometa, incontrò un ostacolo nell'impossibilità di rintracciare un cratere che costituisse la prova evidente dell'impatto. Partendo da lì, scienziati e non si produssero in ardite costruzioni teoriche, dall'esplosione di un asteroide ad alta quota, la cui onda d'urto produsse i devastanti effetti, a una deflagrazione sotterranea; fino alle teorie più strampalate e meno dimostrabili, quali ad esempio un'esplosione atomica "autoalimentata", la collisione del nostro pianeta con un minuscolo buco nero e, ovviamente, la disintegrazione di un UFO. Nel frattempo gli strumenti si sono evoluti, le tecniche di ricerca affinate. Si arriva così al 1991, anno in cui l'Università di Bologna inizia a programmare una serie di spedizioni sul luogo, con l'intento di costruire una mappa dettagliata della zona e soprattutto dell'orientamento centrifugo degli alberi abbattuti, per arrivare alla definizione del probabile punto di impatto.
Quindici anni di misure e sperimentazioni sembrano infine aver dato i loro frutti. Utilizzando sul lago Cheko tecniche di sondaggio acustiche sperimentate nell'ambito della ricostruzione dei fondali oceanici, i ricercatori bolognesi dell'Istituto di Scienze Marine hanno individuato un cratere che potrebbe adattarsi alla ricostruzione effettuata dell'impatto. Ha dichiarato Luca Gasperini, coordinatore del team: "All'inizio del nostro lavoro non sospettavamo che il fondo del lago Cheko potesse nascondere un cratere. Abbiamo costruito la mappa del bacino e prelevato campioni fangosi dal fondo per riscontrare la presenza di eventuale materiale di origine non terrestre. I risultati delle analisi ci hanno molto sorpreso. In effetti, la forma a imbuto del bacino del fondo e i campioni prelevati dai depositi sedimentari suggerisce che il lago riempie il cratere dell'impatto."
La particolare morfologia del lago può però aver tratto in inganno i ricercatori del passato, per i quali la formazione del lago era antecedente al 1908: infatti, la dove ci si aspetta che un cratere d'impatto sia grosso modo circolare, profondo e scosceso, il lago Cheko è invece di forma allungata e poco profondo, appena cinquanta metri. Risulta assente anche un bordo composto da detriti pietrificati, come si trova di solito nei crateri d'impatto come quello situato ad esempio in Arizona. L'idea di Gasperini è che la forma insolita del bacino risulti dall'impatto "di un frammento dell'oggetto lanciato da un'esplosione, che ha 'arato' il suolo fino a impattare. Un frammento di circa dieci metri di larghezza che viaggiava piuttosto lentamente, più o meno un chilometro al secondo." Il lago sarebbe pertanto la risultante di un "incidente morbido" nel terreno paludoso, che abbia fuso lo strato di permafrost sottostante rilasciando CO2, vapore acqueo e metano i quali, allargando il foro, hanno dato origine alla forma insolita del cratere.
"La nostra teoria è l'unica a spiegare contemporaneamente la morfologia del lago e la forma del bacino a imbuto" dice ancora Gasperini. "Tra l'altro i nostri rilievi dimostrano che soltanto gli strati più profondi dei depositi sedimentari sono antecedenti al 1908, mentre lo strato di detriti che si trova più in altro, dello spessore di circa un metro, è successivo a quella data. Quindi il fondo è stato il punto in cui si è verificato l'impatto, e sopra il quale è iniziato l'accumulo di detriti. Pertanto il lago è vecchio soltanto di un secolo."
Commentando i risultati della scoperta, William Hartmann del Planetary Science Institute di Tucson, Arizona, ha commentato: "E' una scoperta eccitatante che getta nuova luce sugli eventi di Tunguska, e che stimola certamente nuove ricerche. Ma mi pongo una domanda: se un grosso frammento di un oggetto è atterrato, dovremmo aspettarci di trovare tracce di numerosi altri piccoli frammenti; perché invece non ne sono mai stati rinvenuti?" Trovare i frammenti diventa perciò determinante per stabilire il tipo di oggetto caduto, un asteroide o una cometa. "La nostra teoria è compatibile con entrambe le ipotesi" ha dichiarato Gasperini. "Se era un asteroide, altri frammenti potrebbero trovarsi nel lago. Se era una cometa, le sue tracce chimiche si trovano nei sedimenti." Gasperini e il suo gruppo stanno già organizzando una nuova spedizione per l'anno prossimo, per risolvere definitivamente il mistero di Tunguska.
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