Tratto da un racconto di Stephen King, 1408 è un horror straordinario che piacerà, probabilmente, anche a chi non ama il genere e a chi è un po' stufo della ripetizione ad oltranza dei cliches e degli stilemi pseudoterrorizzanti e commerciali del cinema orientale.
Un film claustrofobico e spaventoso in cui non sono la paura e l'orrore a dominare la scena, quanto, piuttosto l'inquietante crescendo di dolore che attanaglia il protagonista principale e che comunica uno stato d'ansia allo spettatore.
Diretto da Mikael Håfström già autore degli interessantissimi Evil e Derailed, 1408 colpisce per la profonda drammaticità degli elementi toccati dalla narrazione che vanno dalla perdita di persone care, a tragedie personali fino ad arrivare a domande più profonde riguardo all'esistenza di Dio.
Soprattutto, quello che addolora (in senso positivo in quanto legato alla qualità dell'opera) di più del film è il finale che, fortunatamente è in linea con il resto della narrazione, senza scivolare nel deja vu e che riporta l'esperienza del protagonista su un piano realistico e - per questo motivo - veramente terrorizzante.
A differenza di tanto cinema horror più o meno riuscito, qui non ci troviamo davanti ad eventi soprannaturali che travolgono e sorprendono i protagonisti: la 'banalità del male' così come viene citata, parte da una camera d'albergo maledetta dove le persone muoiono 'inspiegabilmente' e dove il protagonista vuole entrare scientemente nonostante una serie di avvertimenti ricevuti da parte del direttore.
Ed è questo che colpisce di più e porta il film in un contesto brillante ed intrigante. Come altre pellicole importanti del genere dell'orrore quali, ad esempio, L'Esorcista l'azione parte da un contesto 'normale', più precisamente da un 'non luogo' normale ed enigmatico al tempo stesso,
per trasformarsi in un viaggio tanto doloroso quanto tetro e spaventevole.
La grande paura non riguarda soltanto gli elementi personali della narrazione, ma l'intelligenza di ambientare la storia in uno spazio familiare a qualsiasi spettatore. Una camera d'albergo come tante che, però, a differenza di altre ti fa rivivere il tuo passato con tutto il carico di drammatico dolore che vorresti avere dimenticato. La 1408 non è un'esperienza spaventevole, bensì una sorta di viaggio interiore nelle domande che muovono l'esistenza del protagonista e che per questo, alla fine, richiedono non un tentativo di sopravvivere, ma una vera e propria palingenesi personale da cui ripartire. Una rinascita spirituale che, ovviamente, la camera negherà al protagonista tentando, ancora una volta, di indurlo alla morte.
Intenso e travolgente, 1408 combina claustrofobia e inquietudini personali, grandi e piccole domande in una miscela, insolita per un film americano, di non detto e di palese, dove anche momenti più splatter e 'ridicoli' vengono ricondotti ad uno stato paranoico al limite dell'ossessivo.
Tutto inizia quando lo scrittore di guide a posti legati al paranormale Mike Enslin (John Cusack) entra nella stanza 1408 del Dolphin Hotel di New York per il suo ultimo progetto: 'Dieci Notti nelle Camere d'Albergo Infestate dai Fantasmi'. Non curante degli avvertimenti del direttore dell'hotel (Samuel L. Jackson), decide di pernottare nella stanza maledetta, dove molte persone sono passate a miglior vita, convinto di potere sfatare un'altra leggenda. Le cose andranno diversamente e, nonostante questo, l'esperienza nella notte metterà fine alla vita di Mike così come l'aveva vissuta fino a quel momento.
Ed è nel superamento di sé stessi, nel riconoscimento di qualcos'altro da sé che questo film brilla di più: soprattutto per quello che riguarda la contrapposizione tra passato e presente, tra tempo psicologico e reale, tra vasti spazi e anguste camere d'albergo come la 1408 da cui nessuno è mai uscito vivo.
Un film da non perdere, perché solo sul grande schermo si può vivere fino in fondo l'esperienza claustrofobica del protagonista. Uno di quei casi in cui 'l'effetto amniotico della sala cinematografica' è parte integrante dell'elemento di entertainment della trama.
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