La prima edizione del romanzo di Il mondo senza sonno (1956, La sortie est au fond de l’espace: letteralmente, “l’uscita è in fondo allo spazio”) apparve in Italia nel 1957 (Urania n. 163), in una traduzione che condensava il testo riducendolo del 50%. Che l’opera fosse massacrata l’ho scoperto solo pochi mesi fa, rileggendola nella traduzione di Ugo Malaguti e Claudio Del Maso (Narratori europei di fantascienza n. 10, Perseo Libri, 1998). Ricordo bene il giorno in cui acquistai l’Urania dall’edicolante. Avevo 17 anni e vivevo a Monopoli, un paese sul mare, 40 km. a sud di Bari. Era un mattino di ottobre, il tempo si manteneva ancora buono e col libro sotto braccio corsi a una panchina dei giardini pubblici. In un paio d’ore divorai quasi l’intero romanzo. Ciò che mi attirava di questi titoli francesi che Urania ogni tanto tirava fuori (ero rimasto assolutamente abbagliato da La nascita degli dei di Charles Henneberg, pubblicato tre anni prima) era il trovarvi una sorta di universo alternativo della stessa fantascienza. Anche i francesi scrivevano di astronavi e mondi futuri e viaggi nel tempo, eppure era qualcosa di fondamentalmente diverso da ciò che avevo letto e leggevo nelle pagine di Asimov, Heinlein, Williamson, Edmon Hamilton, Simak. Anzitutto, l’aspetto scientifico esisteva ma in forme stiracchiate all’inverosimile, usato e calpestato, direi… “sputacchiato”. Le trame mi sembravano assurde, ma inconfutabilmente vivaci e fantasiose. Infine questi romanzi spesso non portavano a una vera conclusione (almeno come io pensavo dovesse essere una “conclusione”): terminavano ambiguamente, o – mi pareva – lasciando le cose a metà, o ancora peggio improvvisando un salto logico che mi rendeva l’insieme indecifrabile. Restava tuttavia un particolare sapore, irreperibile nella pragmatica e “realistica” fantascienza made in Usa. Più tardi avrei capito che la science fiction francese, pur raccogliendo tramite numerosi scrittori l’autorevole messaggio di Jules Verne, Rosny aîné, Albert Robida, nonché dei maestri d’Oltreoceano (a loro volta debitori verso Verne e Wells), per altre vie tentava di contestare un’eredità divenuta ingombrante, castrante, attingendo senza troppi problemi da altre fonti e non disdegnando di seminare i propri percorsi narrativi di simboli, allegorie, significati a più livelli. Nel caso di Jacques Sternberg, potrei dire che la reale sorgente ispirativa era il surrealismo; un surrealismo rivisitato.
Al lettore non avvisato o non avvezzo, Il mondo senza sonno – scritto mezzo secolo fa, in Francia – può probabilmente apparire sia un romanzo originalissimo, sia una storiaccia mal riuscita. Ma Sternberg scrive per non lasciare indifferente il lettore: lo prende per il collo, gli sbatte in faccia i suoi personaggi solitamente negativi, estremizza (platealizza) le loro reazioni; con apparente serietà drammatizza fino al grottesco le sue trame, passa con indifferenza dalla pseudocronaca del concreto quotidiano a un surreale venato di kitsch. Comunque il linguaggio è quello del romanzo filosofico piuttosto che del "racconto", sia pure fantastico-avventuroso. Inoltre le pagine sono una girandola di immagini simboliche dall'inizio alla fine; immagini – sia chiaro – fanta/scientificamente inverosimili, ma che insieme hanno un loro senso.
La storia parte con il verificarsi d’un evento francamente impossibile: di colpo, dalla notte al giorno, nell'acqua dei rubinetti sembra sia proliferata una immensità di piccole larve e vermi: si scopre così che improvvisamente i microbi si sono ingigantiti, rendendo il liquido non potabile e anzi moltiplicandosi al punto da far scoppiare le condotte. Intorno è un proliferare magmatico di pozzanghere schifose e letali. Inoltre questi esseri attaccano l’uomo e sono velenosissimi. Molto più tardi il lettore intuirà che un evento del genere ha una valenza simbolica: in realtà (credo) sono i mostri dell'inconscio che – dapprima invisibili – diventano percepibili, e gli effetti sono inevitabilmente micidiali. Da qui, comunque, parte una catastrofica ed estenuante odissea che porterà alla costruzione di un necessariamente limitato numero di astronavi, peraltro gigantesche, sotto la supervisione di un fisico di fama, J.H. Diegher. Tali astronavi potranno ospitare ovviamente un ridottissimo numero di “fortunati”, in fuga alla ricerca d’un mondo abitabile. Sono solo pochi milioni di individui: la rimanente umanità resterà sulla Terra a litigare inutilmente per la salvezza, a sgozzarsi e soprattutto ad essere divorata dalle mostruose larve che dalle tubazioni continuano ad emergere a miliardi di miliardi. Fra coloro che si salvano c’è l’io narrante, un giornalista che ha stretto un patto infame con Diegher: quest’ultimo lo ha informato su cosa stia realmente accadendo mentre i governi diffondono rassicuranti menzogne; in cambio il giornalista, a sua volta, diffonderà notizie addomesticate e manterrà il segreto sulle astronavi: così anche per lui ci sarà un posto a bordo.
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