Loco Roco è tutto quello che si può desiderare da un videogame portatile. È divertente, è bello, mette allegria, si lascia gustare secondo il proprio appetito. E, anche se forse si tratta più di un gioco di illusioni, rompe con gli schemi provati e riprovati in questi anni. L’idea che Loco Roco rimaneggia è l’idea di platform. Ma lo fa con così stile e attenzione ai particolari da scivolare dalla mani di chi volesse categorizzarlo a cuor leggero. Ciò non toglie che è comunque lì, con un occhio di riguardo alle figure del rompicapo e alla ricerca estetica, che il videogame Sony rimanda. Pur con tutti gli artifici moderni del caso, a cominciare dal sistema di controllo, che evita la prassi di concedere il movimento del personaggio direttamente al giocatore. In Loco Roco è una conseguenza dell’azione che l’utente esercita attraverso i tasti dorsali di Psp sul mondo virtuale, il quale può essere inclinato a destra e a sinistra determinando il rotolamento nella stessa direzione di simpatici ammassi gelatinosi, barbapapa dai mille colori e con una passione per il canto, eroi deputati del videogame a cui danno il nome. L’obbiettivo è percorrere il più coscientemente possibile livelli di gioco via via più complessi, dalla partenza al traguardo, raccogliendo bonus, esplorando aree segrete, liberando esserini fatti prigionieri ed evitando nemici e trappole. Nella ricchezza dei primi e nella vacuità degli ultimi, e cioè nella malleabilità di un videogame altamente digeribile piuttosto che nell’offerta di un profondo senso di competizione, proprio in questo manifesto sta tutta la contemporaneità di Loco Roco e, probabilmente, la differenza sostanziale tra il buon platform di ieri e di oggi. Nel complesso il titolo Sony non predica però distinzioni nette fra una scuola e l’altra. E anzi, è quasi il ponte ideale che le unisce, così come in esso piacevolmente convivono una vivace grafica e struttura bidimensionale con un discorso fisico importante e, appunto, una fruibilità accessibile e multistrato. Come dire: la tradizione e le nuove frontiere dell’entertainment.
Mentre si gioca, quasi non ce ne si accorge nell’armonia di forme e movimento raggiunta dagli sviluppatori Sony. Eppure l’intimo legame di azione e reazione che governa il moto dei Loco Roco e i loro rapporti con l’ambiente virtuale ha più “next generation” di una mole di effetti speciali, come già ce l’avevano i Pikmin. Un’intuizione ludica che gli sviluppatori hanno saputo non sprecare, donando al titolo quel carattere spesso latitante in altre produzioni recenti. I mondi di gioco diventano quadri di art noveau letta in giapponese pop, in cui il giocatore, nel condurvi i Loco Roco tra salti sui fiori e scomposizioni per infilarsi nei passaggi più stretti, diventa artista a sua volta della performance multimediale. Che abbonda di extra e minigame da collezionare, compreso - con le Loco House - un curioso recupero della surreale progettualità di The Incredible Machine. Di sicuro il tormentone dell’estate 2006. Ma c’è da esseri certi varrà anche di inverno e, anche nei tempi a venire, sarà dura scrollarseli di dosso. Il distillato di giocabilità e quei motivetti orecchiabili che è impossibile non trovarsi a fischiettare. Sono questi i videogame di cui hanno bisogno i giocatori e Psp. Che si crei presto una riserva protetta.
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