Rue Garibaldi non è proprio il posto dove porterei un amico che venisse in visita a Lione, così come non porterei in viale Jenner un amico in visita a Milano. A meno che l'amico non sia un pazzo fanatico appassionato di fantascienza come me.
Sgombriamo subito il campo da dubbi: il Garibaldi di Babylon 5 non c'entra niente. Il fatto è che in un punto imprecisato di questo anonimo viale attraversato a ogni ora da colonne di auto, si trova l'appartamento di Patrice Duvic.
A un italiano che non segua strettamente le cose d'Oltralpe, forse, il nome di Patrice Duvic non dice molto, benché lui di cose da dire ne abbia sempre a profusione e sia quindi un gran chiacchierone, nel senso migliore e più goliardico del termine... Insomma, avete presente Ugo Malaguti che resta in piedi al di là di ogni resistenza umana, e anche vulcaniana, e si sbafa una piadina gigante accompagnata da alcolici vari subito dopo la grande abbuffata all'Italcon di San Marino, tenendo al contempo una sorta di una convention parallela e guadagnandosi la venerazione eterna dei giovincelli abbattuti dal primo grappino? Ecco, la differenza è che Malaguti ha i baffoni, Duvic ha una lunga e scompigliata barba da Babbo Natale.
Ma, al di là di queste note di colore, chi è tecnicamente Patrice Duvic, per chi non lo conosce, e qual è la sua peculiarità? Attualmente curatore per Livre de Poche di tutta la letteratura di genere tranne - ahimè - quella di fantascienza, è stato scrittore, sceneggiatore cinematografico e, soprattutto, ha intervistato tutti i maggiori autori americani di: molte di queste interviste, di cui conserva ore e ore di girato, sono comparse in Italia sulla vecchia Robot.
"Conserva", forse, è una parola grossa, visto che, alla richiesta se sia possibile vedere l'intervista ad Asimov, mi risponde di averla prestata a qualcuno anni fa, e di non averla più rivista. Ma le conserva di sicuro nella memoria, o quanto meno ne ricorda le parti fondamentali.
Eccomi dunque qui, in questo appartamento dall'arredamento esotico in un punto imprecisato di rue Garibaldi, a Lione, per chiedere a Patrice Duvic che cosa Isaac Asimov avrebbe potuto pensare del film Io, Robot.
L'intervista ha un che di surreale, sicuramente molto di virtuale. Il film in Francia è uscito quando probabilmente Duvic si trovava in qualche altro angolo del mondo, e scopriamo con sgomento che nessuno dei presenti (oltre a noi due, ci sono la deliziosa moglie di Patrice, Monique, e lo scrittore, incidentalmente mio - altrettanto delizioso, oserei dire - compagno, Alexis Nevil) ha visto il film. E ormai, qui, è possibile vederlo solo in dvd.
La serata non perde per questo di interesse: al di là delle plurime varietà di whysky offerte come aperitivo, del vino sardo portato da me medesima e dell'ottimo arrosto di Monique, la rievocazione dell'incontro con Asimov, e una serie di ipotesi legate al film, rendono l'incontro memorabile.
"Ho discusso con Asimov due o tre anni prima che ci lasciasse - esordisce Patrice. - Quel che ricordo riguardo ai robot è la sua grande idea che nella catena evolutiva siamo arrivati a una specie di vicolo cieco, per cui sul piano biologico non succede più nulla, e la tappa successiva dell'evoluzione è quel che l'uomo sta creando, cioè i robot, i computer. Quindi la sua idea era che stava iniziando un nuovo stadio dell'evoluzione, i robot o i computer ci avrebbero rimpiazzati, ma era normale, non c'era alcuna acrimonia".
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