"Il miglior film di fantascienza mai realizzato."
Harlan Ellison
Da qualche parte nel ventesimo secolo... dice la didascalia iniziale di Brazil, ma quella che si racconta in questa magnifica fanta-tragicommedia dark è una storia senza tempo. Se proprio deve essere collegata ad una data allora questa sarà certamente il 1984, non solo anno in cui ne è iniziata la produzione ma anche e soprattutto titolo del romanzo di George Orwell che costituisce chiaramente il momento ispiratore iniziale; tant'è che si era persino pensato di intitolarlo 1984 e 1/2, titolo a metà strada tra Orwell e Fellini che lo descrive ironicamente e perfettamente. Orwell scrisse il suo romanzo durante un soggiorno in una fattoria scozzese mentre combatteva contro quella tubercolosi che lo avrebbe ucciso solo sette mesi dopo la pubblicazione del libro. La data era puramente simbolica, infatti durante le prime stesure era stata prima il 1980 e poi il 1982. La raggelante vicenda racconta di uno dei rischi perenni della convivenza tra esseri umani: la possibilità che una fetta della popolazione prenda il sopravvento sugli altri e pretenda di controllarne vita, lavoro, relazioni, morte. Persino i sogni. Su questo aspetto onirico un regista visionario come Terry Gilliam si avvantaggia decisamente rispetto ad un Michael Radford che più o meno nello stesso periodo realizzava una versione cinematografica ufficiale del romanzo. Il suo Orwell 1984, pur sorretto da un ottimo cast che comprendeva John Hurt, Suzanna Hamilton e Richard Burton, non ha un decimo della forza e dell'impatto anche visivo del film di Gilliam.
Brazil nasce dunque sulla falsariga dell'incubo orwelliano, trasformato con tocchi di umorismo in una geniale satira sulla burocrazia e comunque capace di svilupparsi in modo del tutto autonomo e originale, anche perché il regista stesso ha in più occasioni dichiarato di non aver mai letto 1984. Lo spunto di partenza pare piuttosto essere stato un'immagine che continuava a formarsi nella mente del cineasta: un uomo seduto su una spiaggia nera come il carbone che, immobile, ascolta da una radio la famosa canzone "Aquarela do Brasil" scritta nel 1939 da Ary Barroso e dalla quale poi sarebbe scaturito il titolo definitivo. L'idea stava maturando nella mente di Gilliam già da diverso tempo, da prima de I banditi del tempo (1981), ma nessuno voleva finanziarla. Dopo che quel film incassò quasi 36 milioni di dollari negli Stati Uniti, sua terra natale, il regista colse al balzo il momento proficuo e trovò i finanziamenti necessari per la realizzazione di questo suo vecchio progetto. A fianco del produttore indipendente Arnon Milchan la Universal Pictures mise a disposizione un budget di 15 milioni di dollari.
Per la sceneggiatura fu contattato il drammaturgo Tom Stoppard, acclamato già dalla metà degli anni '60 per la sua pièce Rosencrantz e Guildenstern sono morti che egli stesso anni dopo trasformò in un film, controverso Leone D'Oro al Festival del Cinema di Venezia del 1990. Stoppard, al contrario di Gilliam, era abituato a lavorare per conto proprio per cui l'approccio adottato fu che lo scrittore scriveva e poi proponeva una prima stesura al regista, che esponeva poi i suoi commenti e suggerimenti. E così via per le varie sezioni del copione.
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