Vittorio Curtoni
Traduttore, già direttore di Galassia, Robot, Aliens, autore del saggio Le frontiere dell'ignoto (Nord) sulla fantascienza italiana.
Ho sempre pensato che una delle cose più difficili, per chi lavora come scrittore all'interno di un genere letterario, sia riuscire a non cadere nei cliché, nell'ovvio, tanto nei contenuti che nelle scelte stilistiche. La fantascienza abbonda di autori che si sono costruiti una carriera di successo proprio perché si sono standardizzati e banalizzati fino ai limiti estremi, producendo pastoni predigeriti che evidentemente devono risultare gradevoli al palato di molti.
Lino Aldani è un fulgido esempio dell'esatto contrario: uno stile nitido, lucido, controllatissimo, ad alto potere d'evocazione; un grande amore per il gioco dell'estrapolazione intelligente, cioè una delle componenti essenziali della science fiction; e la rara capacità di ancorare le sue "parabole per domani", per riprendere il titolo di una sua antologia, nel qui e ora, nel presente.
Si è discusso per anni, talora accapigliandosi, sull'interrogativo se possa esistere una via italiana alla fantascienza. Be', basterebbe leggere alcune cose di Lino per rendersi conto di quanto sia superflua la domanda. Penso a racconti memorabili come Buonanotte Sofia (una straordinaria anticipazione della realtà virtuale), Trentasette centigradi, Harem nella valigia, Visita al padre; penso al suo romanzo capolavoro, Quando le radici. Fantascienza con tutti i carati che Dio comanda, e totalmente italiana; ma capace di parlare un linguaggio universale, come testimonia il numero di traduzioni che le sue opere hanno avuto.
Perché Aldani è uno scrittore vero, completo, che ha scelto di esprimersi adottando i moduli di un genere; ma li ha saputi usare senza diventarne schiavo, sempre sottomettendoli alla logica del suo disegno narrativo. Per me è il più grosso complimento che gli si possa fare, e devo solo aggiungere che gli viene porto in tutta sincerità da qualcuno che è sempre stato un suo ammiratore e (spero) un suo amico.
Vittorio Catani
Scrittore, critico, vincitore alcuni anni fa del Premio Urania.
Per quanto mi riguarda, di Aldani non posso riferire che bene. So che se ne parla come di persona talora dal carattere un po' difficile (com'è d'altronde per tutti i caratteri forti), ma evidentemente i nostri rapporti - che datano dagli anni '70 e sono stati quasi esclusivamente epistolari e telefonici - non hanno mai incontrato occasioni di contrasto.
Per me Lino è stato un maestro da seguire. Fin da quando lessi i suoi primi racconti fui colpito dalla forza della sua prosa limpida, precisa, accattivante, consapevole, diversa; dal suo modo di congegnare le storie, di usare le idee (talora luoghi comuni della fs americana) in modo nuovo; in modo, oserei dire - già sento le invettive di alcuni - italiano. Cioè calato in un contesto umanistico, erede di millenni di cultura del vecchio continente. Aldani mi ha aiutato con consigli per migliorare la scrittura; e quando ha potuto, ha pubblicato all'estero miei racconti in antologie collettive francesi e tedesche rimaste memorabili. So anche che, bontà sua, votò per me quando si ritrovò nella giuria del Premio Urania. Ma lui ha sempre dato una mano a chiunque, quando riteneva di doverlo fare. Allorché mi ritrovai a curare rubriche estive di racconti fantastici per la Gazzetta del Mezzogiorno, mi diede carta bianca per ridurre o aggiornare alcuni suoi lavori (non tutti gli autori sono disponibili a cose del genere...). Ora mi duole solo una cosa: che in Italia le sue opere non siano riuscite a valicare i confini del 'ghetto', come lui sperava. Egli l'avrebbe meritato, più d'ogni altro. Mi viene anche riferito che avrebbe smesso definitivamente di scrivere. Spero che non sia vero. Lino, sei sempre la nostra bandiera!
Domenico Gallo
Scrittore, critico, già direttore della fanzine Intecom.
Conobbi Aldani molti anni fa, mi invitò a pranzo a casa sua, e ricordo che quasi non sapevo che domande fargli, tante erano le cose che avrei voluto chiedergli. Era il primo scrittore che conoscevo personalmente e ne rimasi impressionato, soprattutto perché mi aspettavo di ascoltare dalle sue parole, vedere dai suoi gesti, un compendio narrativo alle sue opere, come se fosse prigioniero di quello che aveva scritto, come se io stesso fossi entrato nella letteratura. Capii che Aldani era un mito, almeno per me e per gli appassionati italiani di SF che, in quegli anni tremendi, si sentivano di sinistra. Tutti in lui ci aspettavano qualcosa di certo, di eclatante, specialmente dopo Quando le radici. Ripensando ora a quel romanzo, che lessi più volte, mi rendo conto di quanto fosse sofferto, ambiguo, e come incarnasse la crisi politica e culturale che l'Italia viveva in quegli anni senza capire.
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