Robert J. Sawyer è considerato unanimemente tra i più interessanti scrittori di fantascienza degli ultimi anni. Vincitore di un Premio Nebula e finalista più volte allo Hugo, Sawyer riesce a contaminare i generi letterari, regalando al lettore romanzi di indubbio fascino. Ne è un lampante esempio La genesi della specie (Hominids, 2002), pubblicato da Fanucci Editore e vincitore del Premio Hugo 2003. Di questo talentuoso autore canadese, la Delos Books, nella collana Odissea diretta da Gianfranco Viviani, ha pubblicato lo scorso ottobre Furto d'identità, un romanzo arrivato in finale al premio Hugo nel 2006. Abbiamo intervistato per l'occasione Sawyer, che è alquanto caustico a prosposito dell'attuale situazione della science fiction.
Robert, la prima cosa che uno nota nei tuoi libri è il fatto che tu sei il primo a spassartela nello scrivere le tue storie. È così?
Si, è così. Cominciai a scrivere fantascienza perché non riuscivo a trovare nelle altre persone qualcosa che mi attraesse. Due dei miei scrittori preferiti di fantascienza sono Larry Niven e Mike Resnick. Ad una convention in cui erano presenti entrambi, Larry disse che lui scriveva il tipo di fantascienza che trovava interessante quando aveva 16 anni, e Mike affermò di scrivere la fantascienza che trova interessante oggi, in quanto uomo di mezza età. Io sto tentando di fare entrambe le cose: avere quel sense of wonder irresistibile che la SF mi trasmetteva quando ero un adolescente, e al tempo stesso occuparmi di cose che risuonano interessanti per qualcuno che ha vissuto un buon pezzo di vita. Ma non c’è nessun dubbio che alcune piccole divagazioni nei miei libri - mi riferisco a citazioni della serie classica di Star Trek, a l’Uomo da sei milioni di dollari e al Pianeta delle scimmie – sono lì perché sono cose che amo.
La fantascienza è un genere, ma in realtà è un genere della letteratura molto vasto. Secondo te, in quali direzioni sembra andare al momento?
Onestamente? Giù in una latrina. La fantascienza ha avuto tempi duri pur sopravvivendo all'arrivo del 21° secolo. Per molta gente, il futuro è già qui e una narrativa fatta di navi spaziali, alieni e così via sembra irrilevante. Negli Stati Uniti la vendita di libri di fantascienza è sempre più in calo, e ogni mese sento un collega che si lamenta perché è stato scaricato dal suo editore. Ci sono persone con i paraocchi che affermano che è un fatto ciclico, ma rispetto agli ultimi venticinque anni non c’è nessun segno evidente di una risalita.
Parlando di crossover, stanno prendendo quota romanzi che mescolano i generi fantasy con elementi di fantascienza o viceversa. È solo marketing o lo trovi un esperimento interessante?
Io sono un purista. Sono interessato solo alla fantascienza. Non appena l'autore introduce elementi fantasy – che per definizione, è qualche cosa che non potrebbe accadere mai possibilmente - io non faccio più attenzione alla storia. Le persone poco familiari col genere spesso non riescono a capire che la fantascienza è una letteratura di realtà, e questo è molto importante per me.
Torniamo ai tuoi romanzi, qual è quello che hai amato di più?
Penso Factoring Humanity. Cerco in tutti i miei romanzi di combinare l'intimamente umano (il sentimento umano) col grandiosamente cosmico, e penso che in quel libro ho fatto un buon lavoro.
Quanto ti senti debitore nei confronti di Frederik Pohl?
Quando io ero al liceo, Fred stava pubblicando i migliori romanzi della sua vita, inclusi Gateway e Uomo più (Man Plus). Non c’è dubbio che entrambi questi romanzi abbiano avuto un enorme influenza su di me. Ma penso, in generale, che durante la mia carriera, il lavoro di Arthur C. Clarke sia stato più influente. Tuttavia, non credo che debba loro qualcosa, come più di chiunque altro che legge i miei libri mi deve qualcosa. Ma ci sono scrittori prossimi che mi hanno dato un grande aiuto per la mia carriera - Terence M. Green, Andrew Weiner, John E. Stith, Mike Resnick, Nancy Kress – e sento di dovere molto a loro.
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