Il lettore non si stupisca di leggere quella che è a tutti gli effetti un'intervista un po' anomala, laddove l'intervistato e l'intervistatore coincidono. È un genere poco praticato da Delos, ma che vanta una solida tradizione e nel caso di Alberto Cola, vincitore del Premio Urania 2009, ci è sembrato naturale proporlo. Della cosa non si stupirà certamente chi conosce bene o ha conosciuto il talentuoso scrittore marchigiano a qualche Italcon, seppur di sfuggita. Per chi non lo conosce (ma siamo sicuri sono davvero in pochi), ecco alcune note biografiche: Alberto Cola è nato a Tolentino (Macerata) il 30 novembre 1967. Amministratore immobiliare, divide il suo tempo tra scrittura e lettura, le sue passioni; in particolar modo adora scrittori come Mishima, Le Carré, Stout, Baricco, King ed Ellroy. Tra gli altri, ha vinto i premi Alien, Courmayeur, Akery e Future Shock. Suoi racconti sono stati pubblicati in varie antologie. Inoltre ha pubblicato i romanzi Goliath (Solid 2002), uscito anche nella collana di ebook della Delos Books) e Ultima Pelle (Kipple, 2009), vincitore del premio Kipple 2009. Il suo romanzo premio Urania s'intitola Lazarus ed uscirà a dicembre.
Ma lasciamo la parola all'intervistato e all'intervistatore...
Questa poi…
Sarebbe a dire?
Sei talmente egocentrico da intervistarti da solo.
Mica vero. Lo faccio per far risparmiare tempo ai ragazzi di Delos.
Lo sai come vengono definiti coloro che parlano da soli?
Balle, mi sto facendo delle domande, c’è una bella differenza. E poi finalmente mi potrò chiedere quel che voglio.
Potrei stupirti con qualcosa che non ti aspetteresti.
Provaci.
Ok… Quando hai cominciato a leggere fantascienza e scrivere storie di questo genere?
Sei fortunato perché non posso sbattermi il telefono in faccia da solo. Comunque, si comincia a leggere fantascienza perché te lo chiede qualcuno o perché capita qualcosa che ti invoglia. Non è che ti alzi una mattina e lo decidi. In libreria un thriller lo prendi in mano già sapendo a cosa vai incontro, uno di fantascienza deve sopportare una sana dose di diffidenza, questo intendo. Quanto allo scriverne non ne ho idea, semplicemente ho iniziato una storia e scoperto che era parecchio strana. Non ci ho pensato prima e a quell’età credo il ruolo fondamentale lo giochi la permeabilità rispetto a quel che si legge.
E cosa leggevi?
I classici, soprattutto, si parte quasi sempre da lì. Il Buon Dottore, in particolar modo.
E gli italiani?
Sono venuti dopo. Li ho scoperti sulle pagine di Futuro Europa. Prima i racconti, poi i romanzi. Forse in quel momento ho capito di non essere l’unico pazzo (chiacchierate con te a parte) a scrivere fantascienza.
Una ventina di anni fa, in pratica. E adesso?
E adesso niente. Non è cambiato alcunché.
Insomma… Non puoi far finta che il 2010 sia come tutti gli altri anni. Il premio Kipple, poi l’Urania…
Non sto facendo finta. Sia Ultima pelle che Lazarus li avevo nel cassetto da quattro anni, poi di botto… Neanche il gusto di centellinare le proprie soddisfazioni. Capita un anno così, poi va diversamente, ecco perché non ci faccio caso. È come la roulette russa: non puoi giocarci se ti chiedi ogni istante dov’è il proiettile.
In passato hai vinto un bel po’ di premi e pubblicato racconti, spesso in virtù della vittoria negli stessi premi. Sembra che uno scrittore italiano debba per forza passare per un premio per pubblicare.
Curioso, eh? E a quarant’anni suonati eccomi qua, a pubblicare ancora grazie a un premio. Anzi due. Mali italiani, o forse mali della fantascienza, prima ci si abitua e meglio è, si vive più sereni. Per quale motivo credi avessi quei romanzi nel cassetto da quattro anni? Mi era stato detto “Belli, però…”. Già sapevo… Il mercato, quel nome poco anglosassone (anche se a più riprese avevo proposto un bel Al Coleman), le congiunture lunari, il target di lettori… Non c’è niente di peggio che scrivere senza uno scopo, un progetto, farlo a vuoto nella speranza di incappare in sinergie astrali favorevoli. Ecco perché a qualcuno capita che la voglia passi. In questi anni ho conosciuto molti bravi scrittori che hanno smesso, o cambiato genere, per mancanza di prospettiva. Una qualsiasi.
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