Dalla metà anni ’80, Paul Di Filippo è una delle figure più difficili da classificare della fantascienza statunitense.
Di Filippo, che aveva debuttato come autore già nel 1977, diventa un nome inizialmente associato con il cyberpunk, ma è ben presto chiaro che si tratta di una personalità infinitamente più multiforme, uno scrittore di elevatissima qualità, a dir poco prolifico soprattutto nei racconti.
Un po’ prosaicamente, in una recente intervista Di Filippo fa notare che negli ultimi anni il mercato delle riviste garantisce pagamenti ben inferiori rispetto a quelli dell’epoca pulp, e dunque la prolificità è un ripiego doveroso per chi voglia effettivamente vivere da scrittore professionista, soprattutto nella fantascienza. Ma anche, e forse soprattutto, questo suggerisce una dedizione rigorosa e sincera al mestiere della letteratura.
A lanciarlo è nel 1986 l’inclusione di una sua storia in Mirrorshades, l’antologia-manifesto del cyberpunk curata da Bruce Sterling: Stone Lives (uscito l’anno prima su Fantasy & Science Fiction), uno dei più bei racconti dell’antologia.
Rispetto a William Gibson o Pat Cadigan, manca l’atmosfera del giallo hard-boiled, ma l’ambientazione urbana del Bungle, la Giungla del Bronx, una delle più derelitte fra le Zone di Libera Iniziativa degli Stati Uniti, è davvero memorabile. Dickensiana è, anche nel finale ambiguamente consolatorio, la storia del ragazzino che viene soprannominato Stone, pietra, per essere rimasto muto come un sasso mentre gli venivano cavati gli occhi dopo essere stato testimone di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere; e c’è molto di Dickens nel suo incontro con la miliardaria che gli restituisce la vista, tramite impianti oculari artificiali, per utilizzarlo perché osservi e giudichi, a suo beneficio il mondo, che lei ha contribuito a costruire. Ma resta il ritratto, profondamente politico, di un mondo urbano fatto di bellezza e ingiustizia, che forse solo il punto di vista del ragazzino dei bassifondi può comprendere.
In Italia, tutte le antologie del cyberpunk scelgono di includere un racconto di Di Filippo. Skintwister (1986) è l’inquietante storia, ironica piena di raffinati allusioni letterarie, di un chirurgo plastico e dei suoi sogni di onnipotenza. Altrettanto ironiche, umoristiche e ammiccanti a ogni campo della cultura (dai cartoni animati a Lovecraft) sono The Jones Continuum (1988) e Streetlife (1993).
In questi racconti vediamo che, se esiste una preoccupazione “scientifica” in Di Filippo, si tratta della biologia e della genetica più che dell’informatica e dei computer.
Alla sua miscela di umorismo, descrizioni urbane e bioscienze Di Filippo dà il nome di “Ribofunk”, e le dedica un manifesto che fa apertamente il verso alle pretese profetico-visionarie di tanti promotori del cyberpunk.
Nell’importanza letteraria e sociale delle metafore fornite dalla biologia, però, Di Filippo crede con forza, come prova l’antologia Ribofunk (1996), a cui appartiene, oltre a Streetlife, anche Big Eater (1995).
Nato nel 1954 e sempre vissuto a Providence, Rhode Island, la città di H.P. Lovecraft, Di Filippo porta nella sua narrativa tutta la varietà delle sue passioni di lettore onnivoro: cultura “alta” e “popolare”, a partire dalla fantascienza fino all’assoluta passione per il Thomas Pynchon di L’incanto del lotto 49, e nelle interviste, fra le dichiarazioni di amore letterario emergono figure prorompenti come Thomas Wolfe e Thoreau.
Se per l’aspetto umoristico l’unico autore della sua generazione a cui possiamo paragonare Di Filippo è Rudy Rucker, fra i classici è giusto il riferimento a Philip Jose Farmer (una passione dichiarata) e Robert Sheckley. Non dissimile da Sheckley è l’abitudine a inserire le sue trame in scenari improbabili: un modo per dare rinnovata vitalità a quelle tradizionali, e per rileggere quelle più recenti da diverse angolazioni critiche: ne abbiamo visto un recente esempio in La singolarità ha bisogno di donne! (2006, su Robot 51). Da Farmer viene l’uso di materiali letterari: personaggi, trame e gli stessi autori, passati e presenti, diventano parte integrante del mondo di finzione. Sicuramente Di Filippo è innanzitutto uno scrittore per scrittori, e per lettori altrettanto onnivori.
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