In principio era la fantascienza: algida luna sospesa nella notte cosmica, laboratori asettici pronti a sfornare prodigi tecnologici, astronavi linde e luccicanti sulla rampa di lancio per inimmaginabili rotte interplanetarie. In questo paese delle meraviglie l’eroe non poteva che essere senza macchia e senza paura, un vero uomo tutto d’un pezzo come un pistolero di John Ford, e la macchina-robot esisteva per riverirlo e onorarlo. L’insubordinazione era punita col piombo e discostarsi dal canone non era visto di buon occhio dai colleghi.
Poi venne il cyberpunk. E tutto cambiò: il cielo notturno venne oscurato da una cappa di fumi tossici, tecnologie clandestine trafugate da laboratori bellici cominciarono a circolare nel sottobosco criminale della strada, le astronavi arrugginite rimasero a prendere polveri pesanti e pioggia radioattiva sulle rampe abbandonate finché parve chiaro a tutti che non avrebbero mai più visto le linee di volo siderali. Il paese delle meraviglie divenne un luna-park degli orrori, una brutta sorpresa nascosta dietro ogni angolo, e l’antieroe sembrò sbucato direttamente da un western crepuscolare di Sergio Leone ;;o Clint Eastwood: un cowboy inconsapevole burattino nelle mani della macchina-IA, emersa per lottare. Ma discostarsi dal canone continuò a essere un tabù, un comportamento asociale da stigmatizzare.
Se il passaggio non fu istantaneo e di certo deve molto a una legione di visionari scatenati (Alfred Bester, Harlan Ellison, Philip K. Dick, Samuel R. Delany, James G. Ballard), è però possibile focalizzare un ben preciso punto di rottura con la tradizione. Per quanto innovativi e originali, i maestri citati avevano continuato infatti a muoversi sempre nel circuito ben delimitato della fantascienza, rielaborandone archetipi e cliché e segnando, ciascuno alla propria maniera, la storia del genere. Con il cyberpunk la fantascienza interseca l’immaginario pop (musica, cinema, tecnologia), ed esce dal giro circoscritto del suo quartiere per avventurarsi nella grande metropoli postmoderna: una città notturna e pericolosa, in cui circolare diventa una gara di sopravvivenza. E lo sconosciuto che per primo si avventurò oltre il confine con un paio di occhiali a specchio calcati sul naso, lo ricordiamo tutti. È proprio lui: William Gibson, un mito vivente, figura carismatica e talento eclettico, uomo superato dalla propria leggenda. Perché, in fin dei conti, proprio il suo talento eclettico lo ha portato col tempo a inimicarsi folte schiere di quelli che una volta erano i suoi sostenitori più accaniti, integralisti della consolle e del cyberspazio che hanno mal digerito la deriva mainstream del loro mito.
Molto si è scritto e detto sulle sue opere. Dal canto suo, diversamente dai suoi celeberrimi modelli dichiarati (Thomas Pynchon über allen), Gibson si è sempre dimostrato generoso nel rilasciare dichiarazioni e interviste, sommando materiale autografo alla mole di contributi terzi sulla sua produzione. Per questo non ci soffermeremo sulle singole tappe del suo percorso letterario, ma concentreremo invece l’attenzione su alcuni momenti particolarmente significativi: i racconti de La notte che bruciammo Chrome (1977-1985), il romanzo rivelazione Neuromante (1984) e l’ultimo L’accademia dei sogni (2003), romanzo della svolta mainstream, dedicando al resto della Trilogia dello Sprawl, allo steampunk de La macchina della realtà (1990) e alla cosiddetta Trilogia del Ponte solo una breve panoramica.
L’opera di Gibson è sfaccettata come una città vista dall’alto attraverso una lente infranta, ma come per i frammenti di una rosa olografica confidiamo di poterne cogliere la sostanza intima a partire dal dettaglio frattale di alcuni momenti ben precisi. In virtù della complessità del discorso che ci accingiamo a intraprendere, sarebbe facile perdere qualcosa per eccesso di sintesi. Per questo si è preferito suddividere il discorso in due articoli: il primo copre l'arco temporale degli anni Ottanta, a partire dagli esordi fino al completamento del ciclo dello Sprawl; la prossima puntata, invece, si occuperà del resto, con una rapida panoramica sull'escursione steampunk compiuta a quattro mani con Sterling (La macchina della realtà) e sulla trilogia californiana, per poi mettere a fuoco l'attenzione sulla recherche ermeneutica di Cayce Pollard.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID