Questa volta ci occuperemo di uno scrittore in un certo senso minore. Minore per quanto riguarda il volume della sua produzione, certo non per il livello qualitativo che raggiunge. Sicuramente Wilson Tucker non corrisponde al profilo classico dello scrittore di fantascienza della sua epoca: decine e decine di romanzi, centinaia di racconti, al lavoro alla macchina da scrivere per otto dieci ore al giorno. I suoi romanzi di fantascienza si contano quasi sulla punta delle dita, e non è stato prolifico neppure nel campo dei racconti, visto che quasi tutta la sua attività può essere compendiata all'interno dei romanzi, ma questo non importa, visto che questi sono tutti significativi, sia per i temi trattati che per il modo di porgere la narrazione al lettore.
Particolarità che va sottolineata è che Tucker si è sempre considerato a un fan. Per molto tempo, quasi in contemporanea alla sua carriera di scrittore ha prodotto delle fanzine, quindi, anche se una certa parte di romanzi va annoverata nel genere giallo o thriller, possiamo dire che Tucker è un autore interno al genere fantascienza.
Il suo esordio avviene nel 1941, a 27 anni, con il racconto Interstellar Way Station (inedito in Italia). Il primo romanzo di fantascienza di Tucker è del 1951 The City in the Sea (tit. it. La Città in fondo al mare, Libra, Bologna, 1973). Il romanzo è perfettamente inserito nel periodo in cui venne scritto, quando la fantascienza cercava di puntare il dito contro i rischi del disastro nucleare. In una città popolata esclusivamente da donne, giunge da non si sa dove un uomo. Inizia quindi il viaggio delle donne alla ricerca del paese di costui, che si scoprirà essere gli Stati Uniti, tornati dopo la catastrofe a uno stato selvaggio. Il romanzo è di grande forza. Tucker non è uno stilista o uno scrittore raffinato come quelli che arriveranno successivamente, ma sa costruire una trama solida e tenere il lettore avvinto alla pagine tramite una narrazione non superficiale, che lo pone di fronte a una situazione estremamente realistica. La tematica del matriarcato viene ulteriormente sviluppata nel successivo Ice and Iron (1974 tit. it. I guerrieri nel ghiaccio. Urania 675, Mondadori, 1975), qui la troviamo unita però al viaggio temporale che è centrale in molti dei romanzi di Tucker, in particolare: The Lincoln Hunters, 1958 e The Year of the Quiet Sun (1975).
Del 1952 è The Long Loud Silence (rivisto 1970 Il lungo silenzio, Fanucci Editore, 1990) uno dei più agghiaccianti e amari romanzi sul dopo catastrofe che la fantascienza ci abbia dato. Anche nell'edizione del 1952, Tucker offre una narrazione sgradevole, per nulla consolatoria, e presenta uno scenario, quello degli Stati Uniti dopo una guerra nucleare e batteriologica, terrorizzante. Raramente una narrazione post-catastrofe è stata tanto realista, sino alla brutalità, e nell'anno in cui è stata scritta, la sua forza deve essere stata ancora più dirompente. Questo anche a causa del suo protagonista, che con grande realismo sfugge alla solita rappresentazione dell'eroe buono e si dimostra invece cinico, privo di emozioni, impedendo quindi fortemente qualsiasi tentativo di immedesimazione da parte del lettore. Del 1953 troviamo: The Time Master (rivisto nel 1971 I signori del tempo, Classici Urania 124, Mondadori 1987) in cui troviamo un extraterrestre immortale che attraversa la storia dell'umanità alla ricerca di altri sopravvissuti a un naufragio spaziale avvenuto diecimila anni prima. Anche in questo caso, il trattamento del tema dell'immortalità e del materiale mitico è molto convincente.
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