Affermare che la saga di Dune altro non sia che la saga di Paul Atreides, il Muad’dib del primo romanzo di Frank Herbert, è sicuramente riduttivo. La figura di Paul, indiscusso protagonista dei primi due volumi dell’esalogia, che ricompare quasi come una sorta di spettro nel terzo I Figli di Dune, va vista piuttosto come la prima e non ultima incarnazione di un tema che domina l’intera saga in forme diverse: quello del Tiranno. È senza dubbio il tema più complesso affrontato da Herbert nella sua opera in quanto si struttura su una dicotomia bene/male particolarmente complessa. Questa complessità viene metaforizzata nel Sentiero Dorato (nominato altre volte come la Via Aurea), un concetto mai del tutto chiarito che si rintraccia nei discorsi dei tre grandi tiranni tormentati: Paul Muab’dib, Alia e Leto II.
Il Sentiero Dorato è il percorso che unisce Paul e la sua discendenza al destino della razza umana. È “dorato” perché il fine ultimo consiste nella liberazione finale dell’umanità, salvata dall’autodistruzione e finalmente capace di “realizzare il proprio destino momento per momento”. Ma in realtà è un percorso segnato dal sangue e dalla disperazione di coloro che devono ineluttabilmente portarlo avanti, schiacciati dal peso della responsabilità di miliardi di vite. Il Jihad che Paul è costretto a scatenare per l’universo al termine del primo romanzo e che provoca decine di miliardi di morti è solo la prima di una serie di tragedie che l’umanità deve patire per poter poi giungere alla liberazione finale. I tremila anni di tirannia di Leto II, durante i quali alla stagnazione e all’immobilismo fanno seguito guerre, carestie e distruzioni di portata galattica, è la parte conclusiva di questo percorso. Non si fatica quindi a comprendere come il Sentiero Dorato simboleggi la dualità contrastante tra fine e mezzi ma soprattutto la dualità tra determinismo e libero arbitrio: infatti il percorso che Leto II intraprende, spianato dal padre Paul, è predeterminato a tal punto che chi lo percorre ne conosce già ogni singola tappa; tuttavia l’obiettivo è proprio quello di liberare l’umanità dal determinismo, dalla gabbia costrittiva di un fato già scritto e impresso nel sangue di ogni singolo individuo. In ultima analisi la saga di Dune è un’epopea che dipinge un percorso di liberazione e di autodeterminazione dell’uomo. Lette in quest’ottica, le vicende di Paul, Alia e Leto II sono quindi ancora più tragiche: comprendendo le motivazioni alla base dei comportamenti spesso contraddittori, emerge una drammaticità quasi epica delle loro figure; tutte scelgono infine, come il tirannico Saul descritto da Alfieri, la morte come elemento di redenzione e riconquista dell’umanità perduta.
Paul Muad’dib
Auto-realizzatasi la profezia sul suo conto, Paul Muad’dib al termine di Dune diventa Imperatore dell’universo conosciuto, scatenando nella galassia il Jihad che attraverso l’eccidio dei suoi nemici gli consentirà di acquisire un potere assoluto che mai nella galassia si era visto finora. Ma se in Dune Paul

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