Defrag
Come sempre mi presento con cinque minuti d’anticipo. Se arrivassi prima darei l’impressione di avere bisogno di loro e invece sono loro ad avere bisogno di me; se arrivassi in ritardo mi dimostrerei poco professionale, mentre io sono un professionista. Il migliore, per essere precisi.
Immagino di suonare il campanello e quasi immediatamente mi sento chiedere da una voce femminile proveniente dall’altoparlante del citofono: – Chi è?
– L’idraulico – mento, come da programma. Gli orecchi potrebbero esserci dappertutto. – Per quello spandimento al tredicesimo piano.
Sento la cornetta del citofono che viene riappesa. Poi il portone dell’edificio si apre con uno schiocco.
Entro, attraverso l’atrio con disinvoltura e raggiungo gli ascensori senza che nessuno sembri aver fatto caso a me. Fisso il pannello di chiamata dell’ascensore e istantaneamente avverto un ronzio dalla cabina che sta scendendo al piano terra. Le porte metalliche si aprono scorrendo lateralmente, io entro e seleziono il tredicesimo piano.
L’ascensore ci mette un minuto scarso per compiere il suo tragitto, poi le lastre d’acciaio spariscono di nuovo consegnandomi al lungo corridoio della Russian Infrastuctures Corporation.
Procedo fino ad una sorta di reception dov’è seduta una bionda che mi sarebbe piaciuto incontrare in un altro luogo e in un’altra occasione.
– Il dottor Ribinsk? – chiedo.
– Ramo B, terza porta a sinistra – risponde la segretaria con la stessa voce che mi ha risposto al citofono. Non c’è stato nessuno spandimento e io non ho l’aspetto di un idraulico, ma lei non è affatto sorpresa. Come mi aspettavo la bellezza è connivente, e questo alleggerirebbe la mia apprensione, qualora ne provassi. Ormai sono troppo abituato a queste situazioni per avere il cuore in gola, quando mi ci ritrovo.
Seguo le indicazioni della bionda e busso alla porta dell’ufficio di Ribinsk.
– Sì? – dice una voce vagamente stridula dall’altro lato della porta.
Con lo sguardo cerco la telecamera a circuito chiuso. Non la trovo: quell’uomo sa il fatto suo.
– Sono l’idraulico.
La porta mi viene aperta da un individuo tarchiato, con tanto di giacca e cravatta. Il mio fiuto mi dice che è un pesce piccolo, solo un volgare guardaspalle senz’arte né parte. Sicuramente ha una Colt infilata nella cintura, ma le immagini della telecamera nascosta devono averlo tranquillizzato sul mio conto, inducendolo a risparmiarmi inutili brutalità.
Appena supero la soglia il tizio chiude la porta.
Dietro una spaziosa scrivania c’è un uomo non molto alto, tra i cinquanta e i sessant’anni; indossa una cravatta dalle strane figure geometriche bianche e arancio sopra una camicia azzurra. Le maniche arrotolate mostrano dei polsi magri e pallidi, da uno dei quali spicca un Rolex. Capisco che si tratta del mio uomo.
A sinistra un tizio più vigoroso mi guarda con un po’ di diffidenza, ma la cosa non mi preoccupa più di tanto: anche lui è un tirapiedi.
– Qui non ci sente nessuno – esordisce Ribinsk. – Può parlare liberamente, signor Defrag.
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