"I razzi spaziali consistono soprattutto di serbatoi di carburante e stadi di propulsione che non sono destinati a raggiungere l'orbita e per questo ricadono al suolo dopo aver esaurito la loro spinta. In virtù della collocazione geografica di Baikonur, il principale poligono di lancio dell'agenzia spaziale russa situato in Kazakistan, i razzi che partono dal cosmodromo non s'inabissano nell'oceano (come accade per i corrispettivi vettori americani ed europei, NdR), ma spesso precipitano in zone abitate. Questo saggio fotografico rivolge la sua attenzione a queste aree e alla gente che le abita sotto le traiettorie spaziali, famiglie che diverse volte al mese devono fare i conti con la caduta dei relitti in fiamme. Oltre al timore di vedersi sfondare il tetto di casa da qualche pezzo di ferraglia aerospaziale (il che accade regolarmente), gli abitanti di queste zone subisce i danni prodotti dal carburante missilistico altamente nocivo, che loro ritengono responsabile dell'elevata incidenza di varie forme di cancro e dell'avvelenamento del territorio. Ad ogni modo, a dispetto dei potenziali rischi, un gruppo di persone si sta arricchendo grazie proprio ai razzi... è la mafia dei materiali di scarto che prospera in questa regione, recuperando le leghe ad elevata concentrazione di titanio e alluminio".
Con queste parole Jonas Bendiksen, ventiseienne fotografo norvegese, presenta la sua opera sul suo sito web. Uscita da noi grazie ai tipi di Contatto Due, Satelliti (questo il titolo del reportage, pubblicato con la collaborazione della prestigiosa agenzia Magnum) ci conduce in un viaggio che si snoda dal cuore dell'Europa alle profondità dell'Asia, attraverso il Caucaso e la Siberia, labendo i territori di un comune immaginario fantascientifico. Ricordate i relitti delle stazioni spaziali che cadono sulla Terra arroventata de L'ultima pozzanghera, malinconica evocazione del tramonto del sogno spaziale e del nostro mondo partorita nel 1961 dalla visionaria immaginazione di James Graham Ballard? Con il suo reportage Bendiksen dimostra che il futuro è molto più vecchio di quanto potessimo credere, costretti a vivere come siamo in una full immersion fantascientifica.
Venticinquemila satelliti, pezzi di satelliti, portelloni, razzi, pezzi di astronavi, propulsori, pezzi di propulsori e rottami spaziali di ogni genere continuano a orbitare sopra le nostre teste. Uno strato di rottami si estende tra le 200 e le 500 miglia nei nostri cieli, detriti prodotti dalle missioni spaziali umane di cui nessuna agenzia e nessun governo ha intenzione di curarsi. Ad inseguirli, come sognatori a occhi aperti, legioni di cacciatori di astronavi che ricordano (guarda caso) un'altra famosa visione della letteratura fantascientifica, quel Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatzki portato sul grande schermo da Andrei Tarkovsky nel leggendario Stalker. Proprio a uno di questi gruppi di "recuperanti" Jonas si è aggregato per quattro anni, viaggiando ai margini dell'ex dominio sovietico, percorrendo la sua frontiera perduta, un territorio che si è autocannibalizzato in guerre intestine, pretese di autonomia e sogni di un impero perduto. Nel corso del suo lungo viaggio il fotografo è venuto in contatto con piccole comunità strutturate come veri e propri mondi a parte. "Le enclave mi hanno sempre interessato, inoltre i miei nonni erano lituani, e mi hanno sempre raccontato di quei posti. Per questo ho deciso di trasferirmi in Russia per qualche anno. Ho sempre pensato a questi territori, esplosi dopo la fine dell'URSS, come a delle piccole lune che restano in orbita, attirate dall'immensa forza gravitazionale di Mosca, nocciolo dell'impero sovietico" narra Bendiksen. Un sogno, il suo, che in più punti sconfina nell'incubo.
Purtroppo i villaggi bombardati da questi detriti in fiamme sono quasi tutti contaminati, data la radioattività di alcune parti. Come se non bastasse, l'elevata tossicità del carburante avvelena i campi.
Bendiksen ha fotografato anche campi di mucche gonfie e stecchite, vicine a questi detriti caduti dal cielo. A immolare la deriva di un sogno distorto, focalizzato nelle istantanee del suo viaggio onirico sospeso tra gli echi di un futuro perduto e l'oscurità di un medioevo prossimo venturo, anche una mostra presso il Jewish Historical Museum di Amsterdam, aperta fino all'8 ottobre 2006.
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