Matthew era rimasto paralizzato nel 2001, dopo essere stato accoltellato da una banda di criminali. Il suo midollo spinale è reciso in due e il segnale nervoso che parte dal cervello non riesce a raggiungere i muscoli per trasmettere loro l'ordine di contrarsi.
Eppure è proprio lui che sposta il cursore sullo schermo, scrive una mail al ritmo di quindici parole al minuto, regola il volume della Tv e fa compiere semplici movimenti a un braccio robotico poco distante. Tutto grazie alla forza del pensiero. E a un chip che è collocato nel suo cervello e che il pensiero riesce a interpretarlo, traducendolo in comandi per il cursore del computer e per il braccio robotico.
Il successo di dieci anni di sperimentazioni, sulle scimmie prima di passare all'uomo, è raccontato dalla rivista scientifica Nature. L'apparecchio BrainGate, creato dalla ditta statunitense Cybernetics, è frutto del matrimonio fra tecnologia dei microcircuiti e scienze di frontiera. Un chip di lato di quattro millimetri è stato impiantato sotto al cranio di Matthew nel 2004, in corrispondenza della corteccia motoria. Alla piastrina sono fissati 96 elettrodi più sottili di un capello, che penetrano fra i neuroni alla profondità di un millimetro. Il loro compito è fondamentale: raccogliere gli impulsi elettrici del cervello di Matthew nel momento esatto in cui il ragazzo esprime la volontà di spostare il cursore sullo schermo.
Sono stati necessari cinque anni di studi sui macachi per imparare la lingua del pensiero. All'università di Stanford un team di neuroscienziati addestrava alcuni macachi a puntare il dito contro delle palle luminose su uno schermo e nel frattempo ne studiava i segnali elettrici dei neuroni. Così è stato scritto il vocabolario della lingua del cervello, mentre allo stesso tempo la Brown University, in collaborazione con la società privata Cybernetics, metteva a punto la piastrina con gli elettrodi.
I pazienti che potranno beneficiare di questa "protesi neuronale" sono quelli colpiti da una lesione al midollo spinale, alcuni tipi di ictus, distrofia muscolare. Per il momento - frenano gli scienziati - occorre però fermarsi un attimo. Bisogna fare il punto sui risultati ottenuti prima di pensare a un'applicazione dell'apparecchio su larga scala. "Ma una novità veramente positiva rimane - ha spiegato Leigh Hochberg della Brown University, uno dei firmatari dell’articolo su Nature - ed è che anche dopo tre anni dalla paralisi, i neuroni della corteccia motoria di Matthew non hanno cessato di funzionare. Avevamo paura che perdessero gradualmente perso la loro attività, invece non è stato così".
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