È ufficiale: dopo anni di rincorse, fughe di notizie, voci di corridoio e relative immancabili smentite, il sogno di milioni di appassionati in giro per il mondo si appresta a diventare realtà. La Warner Brothers Inc., in collaborazione con Ladd Company e Far East Movie di Sir Run-Run Shaw, ha in cantiere una sorpresa che tornerà sicuramente gradita in occasione del venticinquesimo anniversario di Blade Runner, il cult movie che nel 1982 Ridley Scott trasse dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick. La Warner ha così ricostituito quasi per intero il team produttivo dello storico capolavoro, che segnò una svolta importante nel moderno cinema di fantascienza, imponendo le figure del cacciatore di androidi e del replicante ribelle nell’immaginario collettivo. Resta fuori dall’accordo solo la Tandem Productions, i cui dirigenti hanno però ottenuto un risarcimento milionario per i diritti di sfruttamento del brand che ancora detenevano.
A divulgare la notizia è stato lo stesso Ridley Scott, che già diverse volte in passato si era detto disponibile a riprendere il discorso sulle colonie extramondo lasciato in sospeso in Blade Runner. Scott non si è slacciato molto, ma ha dichiarato comunque che il progetto non è legato in alcuna misura ai sequel romanzati (a dire il vero piuttosto deludenti) scritti su commissione da K.W. Jeter. La sceneggiatura, secondo indiscrezioni non confermate dal regista, sarebbe stata affidata nientedimeno che a William Gibson. Negli ultimi tempi il guru del cyberpunk era infatti scomparso dal suo blog per alcuni mesi, motivando l’assenza con pressanti scadenze di lavoro che lo obbligavano a ritmi di scrittura massacranti, senza mai però menzionare un progetto cinematografico di questa portata. Ma anche se la versione preliminare dello script resta avvolta nel mistero, in diverse interviste il regista inglese aveva palesato il suo desiderio di esplorare l’ipotesi che lo stesso Deckard fosse un replicante, “più umano dell’umano”. La sua volontà sarebbe di portare alle estreme conseguenze questo concetto: un Deckard come primo esemplare di un nuovo modello, i Nexus-7, potrebbe produrre quel capovolgimento del punto di vista (nel rapporto con le autorità e quindi con gli altri cacciatori dell’Unità Blade Runner, ma anche sul piano più personale con la relazione emotiva che ormai lo lega a Rachael) indispensabile come premessa a un buon lavoro. Le tematiche dell’immortalità e dell’esigenza di spiritualità insita nei modelli di replicanti più avanzati, portano avanti il discorso già intrapreso con la figura di Roy Batty/Rutger Hauer nel film originario, caratterizzato proprio dal suo forte slancio romantico verso un’idea umana di infinito. Queste e il tema centrale della fallacità delle memorie segnerebbero la continuità con Blade Runner, mentre una frattura con il passato sarebbe determinata dalla scelta di ambientare l’azione in una colonia extra-mondo: “la nuova frontiera” come l’ha definita Ridley Scott, “un posto che è diventato così perverso da servire ormai solo per trovarvi una buona morte”.
Potremo così finalmente scoprire qualcosa di più sul mondo esterno alla cupa città sommersa dalla pioggia che faceva da sfondo al film del 1982. E con tutti gli aspetti che restano da chiarire – dal sistema di trasporto usato per muoversi da un pianeta all’altro (propulsione convenzionale o teletrasporto?) alla struttura interna dell’Unità Blade Runner (ci sono cacciatori anche sulle colonie?), all’atmosfera (le colonie extramondo somigliano più a un avamposto militare o a una città mineraria del vecchio west?) – di carne al fuoco ce ne sarà in quantità abbondante. Ma Deckard e Rachael potrebbero non essere gli unici protagonisti a tornare nel sequel. Ridley Scott, infatti, non ha mai nascosto il suo debole per il personaggio di Roy Batty, all’epoca reso intensamente da un Ruther Hauer in stato di grazia, quindi non sembrerebbe improbabile un suo coinvolgimento. Come? Chiamando in causa il suo originale, un po’ come faceva proprio K.W. Jeter nel romanzo Blade Runner 2, dove la nemesi di Deckard tornava nei panni del reduce che aveva fornito lo stampo genetico per Roy Batty, intenzionato a vendicare a tutti i costi la morte del suo replicante. E su questa linea di pensiero s’innesta la vera e propria testata esplosiva di questa notizia.
Proprio in virtù della loro natura, i personaggi di Harrison Ford e Sean Young dovrebbero apparire nella nuova pellicola come se non un solo giorno fosse trascorso dalla conclusione degli eventi narrati in Blade Runner. Ma allora come fare per cancellare gli inevitabili segni di invecchiamento accumulati nel corso di venticinque anni di tempo reale? Ebbene, fermo restando il “coinvolgimento creativo” dei due attori, la produzione sarebbe intenzionata a marcare con questo sequel un’ulteriore innovazione tecnologica nei processi di realizzazione cinematografica. D’altro canto, non dobbiamo dimenticare che la Warner non è nuova alle rivoluzioni di questo tipo, basti ricordare la famigerata tecnica del bullet-time approntata per il primo Matrix. Ma la nuova rivoluzione sarebbe ancora più estrema: dal sito dell’Automatation and Robotics Research Institute (ARRI) si apprende infatti del progetto che a partire dai mesi scorsi i loro ricercatori starebbero sviluppando su commissione proprio della Ladd Company, una delle società coinvolte nella produzione del film. L’istituto, con sede ad Arlington nel Texas, era già balzato agli onori delle cronache lo scorso anno quando, in collaborazione con il FedEx Institute of Technology di Memphis e con il supporto dei tecnici dell’Hanson Robotics specializzati in ingegneria meccanica e strutture polimeriche, annunciò al mondo la realizzazione di un androide di Philip K. Dick. La notizia deve aver solleticato l’interesse dei produttori hollywoodiani, che così hanno pensato di sfruttare il knowhow accumulato da queste società per piegarlo alle leggi del mercato e, in particolare, dell’industria cinematografica. Dopotutto, come dimostrano i risultati raggiunti con il simulacro di Dick, gli effetti di questa tecnologia sono davvero strabilianti. La disponibilità poi di efficaci sistemi di correzione dell’immagine e il ricorso a controfigure per le scene più movimentate servirebbero ad ottimizzare il prodotto finale. Chissà, magari il futuro del cinema è proprio questo: attori che fungono da controfigure per acclamate stelle del cinema artificiali…
Cinema nel cinema o immaginario che plasma se stesso, appare chiaro che qui ci troviamo in presenza per l’ennesima volta di come la realtà viaggi più velocemente di quanto le nostre percezioni siano disposte a riconoscere. Dopotutto un Blade Runner 2 recitato dai replicanti è solo la logica conseguenza di un androide di Philip K. Dick. Viviamo in tempi veloci, ormai. Siamo immersi nella fantascienza fino al collo. E lo shock del futuro ci ha tolto l’incredulità della sorpresa.
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