Ho commesso un errore di valutazione, qualche mese fa.
Me ne sono accorto grazie ad un amico. Ad un suo regalo: Angeli spezzati.
Un libro che dunque ho letto in ritardo, rispetto alla sua uscita in Italia (ottobre 2005). In compenso, lo recensisco. Lo merita.
Innanzi tutto, l’autore.
Richard K. Morgan viene visto come uno dei nomi di punta della nuova fantascienza inglese. Londinese, si è laureato a Cambridge nel 1987, poi s’è messo a insegnare inglese fuori patria (Turchia e Spagna) e in Scozia. Nel 2002 ha pubblicato Altered Carbon (Bay City, Nord 2004), premio Philip K. Dick nel 2003. Un romanzo sul quale ha puntato gli occhi anche il cinema, riservandosene i diritti per il grande schermo. Dopo Broken Angels, ha pubblicato ancora Market Forces e Woken Furies (quest’ultimo parte del ciclo di Kovacs, che comprende anche Bay City e Angeli spezzati).
Ora: la trama.
Siamo nel 26° secolo.
Molte cose sono cambiate, altre non cambieranno mai.
Tra quelle cambiate, due assumono particolare rilevanza.
La prima: si può sopravvivere alla morte fisica. La personalità degli individui è da tempo digitalizzabile, quindi trasferibile. Il corpo diventa una “custodia”, sostituibile con facilità. Purché si abbia il denaro necessario almeno per una custodia di terz’ordine.
La seconda: l’umanità ha colonizzato altri pianeti. Non lo ha fatto con le proprie conquiste scientifiche, bensì attingendo a quelle di una grandiosa una civiltà scomparsa, i cui artefatti tecnologici, una volta scoperti, studiati, più o meno compresi, e quindi usati, hanno consentito all’uomo di percorrere distanze galattiche altrimenti invalicabili.
Per il resto, come si diceva, molte cose non sono cambiate affatto. Non è cambiata la sete di potere, l’avidità, la predisposizione alla violenza, anche come strumento politico. Ci sono sempre le guerre, i grandi interessi economici che le scatenano – volontariamente o per grossolani errori di valutazione geopolitica –, mirando poi a controllarle. E ci sono rivoluzionari che finiscono per accettare le spietate regole dei giochi di potere, di farne parte, trasformandosi in esseri privi di scrupoli nonostante la bontà dei principi che magari li hanno inizialmente mossi.
Uno di questi futuri conflitti si combatte sul remoto pianeta Sanzione IV, dove il governo locale, appoggiato da un Cartello di corporazioni industriali, si oppone alle forze rivoluzionarie guidate da Joshua Kemp.
In questo scenario si muove Takeshi Kovacs, già futuristico private eye protagonista di Bay City, ora elemento di punta del famigerato Cuneo di Carrera, tristemente noto gruppo di mercenari specializzati. Tra questi professionisti della guerra, il tenente Kovacs ha ancora qualcosa in più: è uno Spedi. Un guerriero d’élite, dalle capacità mentali e fisiche potenziate.
Convalescente dalle ferite dell’ultima cruenta missione, Kovacs viene contattato da Jan Schneider, un ex pilota di shuttle, che gli propone di diventare suo “socio” in un affare davvero grosso. Si tratta di ritrovare un manufatto marziano (la misteriosa, e apparentemente scomparsa, civiltà aliena, i cui manufatti sono sparsi per le galassie, vengono convenzionalmente chiamati “marziani” perché è su Marte che per la prima volta sono state rinvenute le tracce della loro presenza) veramente unico e di vendere la scoperta al miglior offerente. Trattandosi di un nuovo portale (cancello d’ingresso ad altri mondi), il rischio di restarci secchi nelle trattative è assodato. In tal senso, l’apporto di uno stratega come uno Spedi è essenziale. Altrettanto lo è quello dell’archeologa Tanya Wardani, che ha fatto la scoperta. Purtroppo, attualmente ospite di un campo di concentramento. Da dove viene puntualmente liberata. Anche se in pessime condizioni psicologiche.
A questo punto, il terzetto si dà da fare per trovare l’acquirente giusto.
L’accordo si fa con la Mandrake Corporation, rappresentata da Matthias Hand, uno dei dirigenti. In gran segreto, ma con grosso investimento di spesa, viene rapidamente organizzata una spedizione per accaparrarsi legalmente i diritti sul manufatto e, soprattutto, su ciò che si potrà trovare dall’altra parte del cancello, una volta attivato. I quattro saranno infatti accompagnati da un eterogeneo team di mastini della guerra, le cui personalità sono state recuperate da recenti campi di battaglia e “ricustodite” per l’occasione.
L’operazione sarà condotta in situazioni estreme, con le custodie condannate dal fallout radioattivo presente nel campo d’azione, contro le insidie della nanotecnologia bellica libera nella zona, di un misterioso sabotatore e quant’altro.
Fino ai colpi di scena finali, con una conduzione narrativa degna dei migliori thriller.
Angeli spezzati è dunque soprattutto un romanzo di fantascienza. Sa di esserlo, e pare esserne orgoglioso. Senza dimenticare che è anche un hard boiled, un action thriller, un romanzo bellico…
Come molta SF, quest’opera è anche il pretesto per parlare di un mondo che conosciamo. Di uomini e donne. Della società, della politica, degli interessi commerciali. Del modo amorale e distruttivo in cui questi fattori si combinano. Delle rivoluzioni tradite. Della guerra. Di vittime e carnefici…
Della morte, soprattutto. Della morte ripetuta. Della morte rivissuta. Ricordata.
Morgan ci racconta tutto ciò con un linguaggio crudo, cinico. Non poteva essere altrimenti.
Come molta narrativa odierna, Angeli spezzati è a tratti cinematografico. Per ragioni di output, certo. Perché chi scrive narrativa spera sempre di approdare al cinema (e Morgan pare ci stia arrivando, con Altered Carbon). Ma anche e soprattutto per ragioni di input. Perché l’autore ha fatto sue molte esperienze dello schermo che hanno contribuito alla sua formazione di scrittore non meno di quelle letterarie e umane.
Ci sono scene particolarmente riuscite anche dal punto di vista dell’impatto visivo. Una fra tutte, quella al Mercato delle Anime. Che non vado a rovinarvi, anticipandola.
Vogliamo “sforzarci” a tirar fuori qualche piccola critica?
La pecca di Angeli spezzati è che a volte il ritmo va fuori giri. Soprattutto quando rallenta in modo vistoso.
Inoltre, il libro avrebbe potuto avere qualche pagina in meno. Senza nulla perdere in termini di trama, sceneggiatura e sfoggio di doti narrative.
Pur apprezzando la direzione di marcia, non mi hanno inoltre entusiasmato alcune scelte stilistiche. A dire il vero, le ho apprezzato fino a un certo punto, quando ho iniziato a trovarle eccessivamente tirate. Mi riferisco principalmente ad un uso ardito della punteggiatura, che ritengo non sia il risultato di una licenza di Vittorio Curtoni, che ha tradotto il testo, bensì la versione italiana di un originale ricercato.
Comunque sia, si tratta di un aspetto che, per quel che riguarda il mio modo di godermi un buon libro, risulta secondario.
Come dicevo all’inizio: ho commesso un errore di valutazione, tempo fa.
Non ho comprato e letto Bay City, quand’è uscito.
Beh… Poco male. E’ un errore a cui sarà facile rimediare.
Arrivederci, Kovacs.
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