Immaginate di avere una macchina del tempo e un conto in sospeso con la storia. La fede religiosa è l’unica convinzione su cui si basa la vostra vita, ma il mondo in cui vivete sembra aver preso la piega sbagliata. Adesso disponete del metodo per ottenere finalmente la giustizia per cui avete insistentemente pregato: non fareste un salto indietro nel tempo per far valere le vostre ragioni? Perché continuare ad opporsi nel presente alle forze che vi hanno schiacciato sotto il loro tallone, quando con un semplice spostamento temporale potete avere la meglio su quei primitivi che ne sono responsabili, imponendo la legge della vostra tecnologia superiore?
E adesso continuiamo il gioco. Immaginate di essere della CIA e che un uomo venga trovato privo di sensi su una strada del Montana, appena dentro i confini degli USA, e che nella sua auto uscita di strada trasportasse cinque chili di uranio-235. La polizia non trova corrispondenza alle sue impronte digitali, i documenti di identità risultano falsi e dopo gli attentati dell’11 settembre il vostro paese si sta impantanando nella guerra al terrorismo sul fronte asimmetrico che attraversa il Medio Oriente. Il governo vi ha dato carta bianca e tutto ciò che vi chiede sono informazioni: in tempi come questi, sono l’unica vera arma in grado di decidere le sorti di un conflitto.
Il potenziale dei due concetti si presta a una molteplicità di approcci e spunti fuori dalla media, innestando il senso dello straordinario insito nell’ipotesi dei molti-mondi di Hugh Everett III sulla tragica attualità della storia contemporanea, per dipingere un quadro a tinte fosche del nostro recente passato. Mettete insieme i due assunti e avrete una detonazione istantanea. È quanto riesce a realizzare Robert Reed, americano del Nebraska, ex-biologo ricercatore, già apprezzato su Odissea con il romanzo breve Un miliardo di donne come Eva, premio Hugo 2007. Reed è stato nuovamente finalista all’Hugo lo scorso anno con questa fulminante incursione nei territori della dietrologia, a cavallo tra spy-story e hard science fiction, dal titolo capace di innescare un gioco di specchi con la storia della fantascienza: La Verità. Al di là della Penultima verità di Philip K. Dick, giustamente richiamato nella sua prefazione da Salvatore Proietti a cui si deve anche l’ottima traduzione, di Campo Archimede di Thomas Disch e de L'anno del sole quieto di Wilson Tucker, nel progressivo svelamento della realtà Truth spinge verso un nuovo orizzonte narrativo l’idea di A Billion Eves: la colonizzazione delle terre parallele viene in questo caso declinata in chiave temporale, portando in scena la presunta invasione dal futuro di un esercito di jihadisti del XXII secolo, equipaggiati di nanotecnologie e modificazioni genetiche.
129 uomini e donne al seguito di un leader conosciuto semplicemente come Abraham. E tra questi 129 guerrieri, Ramiro: nome in codice da prigioniero Lemonade-7, catturato dalla polizia con un quantitativo di radionuclidi sufficiente a confezionare una bomba, segregato dalla CIA in una prigione sotterranea nelle Montagne Rocciose, sottoposto a tortura fino alla rivelazione di capacità precognitive inconcepibili per un comune mortale. Reed riesce a esaltare le implicazioni di questi intriganti presupposti scegliendo di adottare un punto di vista obliquo: quello della protagonista, un’agente distaccata al caso di Lemonade-7 dopo che il suo predecessore, una leggenda nell’ambiente degli agenti del Bureau, si è tolto la vita senza lasciare un solo indizio utile a ricostruirne le motivazioni. Collins era stato il primo a penetrare la barriera umana di Ramiro e cosa lo abbia spinto a suicidarsi dopo dodici anni di lento ma determinato scavo psicologico nella sua corazza mentale è un mistero che, una volta chiarito, condurrà Carmen all’ultima verità sul prigioniero.
La Verità è un libro duro, giocato in perfetto equilibrio sul registro del racconto psicologico, ma senza risparmiare al lettore lo schiaffo di pagine angoscianti come raramente mi è capitato di trovarne nel corso delle mie letture, dentro e fuori i confini del genere. La tensione drammatica è tenuta a un voltaggio altissimo grazie al progressivo svelamento del contesto socio-politico e alla sua sapiente combinazione con i capovolgimenti di fronte che invece coinvolgono la figura di Ramiro e la sua storia individuale, studiata in retrospettiva da Carmen man mano che va recuperando il lavoro di Collins e infine da lei stessa sviscerata in prima persona. Il mondo del 2013 è un incubo in fase di drammatico peggioramento: nuovi tragici attentati hanno devastato gli Stati Uniti, sterilizzando la Costa Atlantica e portando il paese sull’orlo della balcanizzazione; i funzionari del governo e i politici, Presidente in testa, non ci fanno una bella figura, persi come sono nel delirio paranoico a cui li hanno condannati la loro connaturata scarsità di prospettiva e la soggettività viziata delle informazioni in loro possesso; e le cose sembrano destinate a precipitare verso un’apocalisse che non lascerà margini di redenzione a nessuna delle parti in causa.
E quella della salvezza è una delle ossessioni dei protagonisti, praticamente un leitmotiv presentato attraverso le sfaccettature del fanatismo e della prevaricazione. “Se mi dice quel che sa” aveva rivelato Collins a Carmen, nel corso del loro ultimo incontro prima del suo improvviso suicidio, “ io posso salvare il mondo. Non una volta, ma mille volte. Un milione di volte. Più volte di quante ne possiamo contare… ora, non sarebbe questa un’eredità che varrebbe qualsiasi prezzo?”
Le sue parole suonano quasi come un tentativo in extremis di auto giustificazione, ma il climax di questo passaggio diventa emblematico di una escalation emotiva che cede alla trappola del delirio di onnipotenza. E nonostante il finale, senza nulla anticipare per non rovinare al lettore il gusto della scoperta, nelle sfumature dell’epilogo persisterà l’effetto delle sue implicazioni. La storia che Reed racconta ci sprofonda in un abisso di disperazione, in cui la realtà denudata pone i protagonisti – e noi con loro – di fronte alle conseguenze delle proprie rispettive responsabilità. Oltre le atrocità di Guantanamo e delle carceri irachene, l’orrore dilagante nel mondo ci ricorda che è nella reazione dei governanti e della gente che se ne misura il peso. Sul terreno insidioso della storia, la prossima trappola potrebbe rivelarsi fatale. Robert Reed, con la saggezza dello scienziato e la pacatezza del profeta, ci fornisce un monito irrinunciabile e prezioso per imparare a riconoscere queste trappole ed evitare i passi falsi.
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