Immaginate una città confinata ai bordi di un’unica strada. Da una parte corrono i Binari della ferrovia, dall’altra le acque del Fiume. E oltre questi confini il Lato Sbagliato dei Binari e l’Altra Sponda, rifugio di creature assurde prese in prestito da una bizzarra mitologia dell’oltretomba: i temuti Tori Alati e le incantevoli Spose del Pescatore, che fungono da ultimi Accompagnatori per le anime dei defunti. Strada Maestra si estende per decine di milioni di isolati e nessuno sa davvero se abbia un inizio o una fine. Sotto le evoluzioni celesti del Sole Giornaliero e del Sole Stagionale che incrociano le loro traiettorie sopra la città, si snoda un anno nella vita di Diego Patchen, scrittore di Narrativa Cosmogonica, e dei suoi eccentrici amici.
Riassumere la trama di un romanzo breve difficilmente può essere così difficile come nel caso di Un Anno nella Città Lineare: ci sono la vita di uno scrittore sfortunato e quella di suo padre ossessionato dal passato, le amicizie stravaganti e le scorribande notturne, un’impresa sotterranea, un viaggio verso i confini del mondo e un tentativo di decifrarne la natura. E attraverso questi episodi Paul Di Filippo trova il modo per imbastire amare e al contempo divertenti riflessioni sulla condizione dello scrittore di genere e per trasporre le tribolazioni esistenziali dei suoi personaggi in avventure picaresche travolgenti, con una raffinatezza affabulatrice che esalta le potenzialità della scrittura postmoderna in combinazione con gli strani scenari ispirati dall’immaginario fantastico e fantascientifico.
Un Anno nella Città Lineare è speculative fiction nel senso più stretto del termine. Lo sfondo e l’atmosfera giocano il ruolo preminente nell’effetto di straniamento con cui l’autore riesce ad accattivarsi l’interesse del lettore, con un’operazione non dissimile da quella che gli era riuscita a metà anni ‘90 con la novella Walt ed Emily, la terza (e la meno steam) della stupefacente Trilogia Steampunk. Ma il modello è probabilmente il J.G. Ballard d’avanguardia del racconto “Città di Concentramento”: città talmente vasta da risultare impossibile da esplorare tutta. In maniera del tutto analoga, quella dello scrittore di Providence è una città anomala che potrebbe essere un’estensione all’infinito di Broadway, con i suoi riti, i suoi misteri, le sue stravaganti premesse cosmologiche (come il corpo della Bestia sulle cui scaglie – preziose e, come scoprirà a sue spese Diego, veneratissime – sembrerebbe essere stata edificata): pilastri che mutuano oppure ribaltano le nostre certezze. Lungo Strada Maestra edicole, botteghe, esercizi commerciali e traffici illeciti convivono con creature fantastiche e con una tecnologia moderna ma non troppo, che non conosce innovazioni ma grazie all’opera di ingegneri riparatori ristagna in un eterno presente.
Di Filippo porta in scena un esilarante capovolgimento di prospettive attraverso il lavoro di Diego Patchen, che per professione inventa “altri mondi” (e Mondi a richiesta sarà il titolo scelto per la sua prima antologia, compilata con i racconti usciti per “Mirror Worlds”), mondi in cui un sistema di telefonia consente alle persone di comunicare in tempo reale, mondi in cui un sistema analogo consente la trasmissione delle immagini, mondi senza Accompagnatori a mediare tra la vita e la morte e i cui abitanti, in assenza di una prova materiale e fisica, si lasciano dominare dalla superstizione di chiese e di religioni (cose per cui Diego si ritrova a non disporre nemmeno di un nome). E le sue ossessioni di scrittore sono appunto la ricerca del modo più efficace per sorprendere i propri lettori, conquistarsi la loro simpatia e, magari, guadagnarsi il riconoscimento di un premio del settore…
La Narrativa Cosmogonica (che nell’originale Cosmogonic Fiction, abbreviato in CF, reca un’assonanza ancora più evidente con la SF che frequentiamo noi in questo mondo) è uno dei cardini intorno a cui Di Filippo opera la sua strategia di inversione del reale. Questo genere si sforza di concepire mondi assurdi e strampalati per gli abitanti della Città, ma tutti finiscono per rivelarsi terribilmente simili al mondo in cui noi viviamo. Malgrado questo, anche lungo Strada Maestra gli scrittori di genere sono costretti a stringere la cinghia. E qui gli echi che si percepiscono con maggiore chiarezza sono con un suo racconto del 2003, il frenetico, allusivo, sentito omaggio di “Science Fiction” scritto probabilmente nello stesso periodo o a stretto giro di ruota (il racconto è uscito in Italia nella raccolta L’imperatore di Gondwana, Urania 2007).
Come sempre in Di Filippo le sorprese sono garantite e il piacere della lettura riverbera oltre le pagine, in costruzioni e invenzioni capaci di persistere dentro anche dopo avere chiuso il libro.
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