I naufragi, che avvengano su isole misteriose o su lontani pianeti, hanno sempre ispirato storie di fantasia, Jack Vance unisce a questo tema quello del ritorno in patria, ispirandosi all'Anabasi del greco Senofonte e all'Odissea di Omero per confezionare L'odissea di Glystra, racconto di una terribile marcia su un pianeta davvero speciale.
Del tutto privo di metalli pesanti, il Grande Pianeta ha un raggio di quasi 26.000 chilometri e un diametro equatoriale di 160.000 chilometri, circa quattro volte quello terrestre, solo la sua bassa densità rende la sua gravità paragonabile a quella a cui siamo abituati.
Magra consolazione per la spedizione guidata da Claude Glystra, inviato dal governo centrale della Terra per contrastare Charley Lysidder, il malvagio e astuto Bajarnum del Beaujolais, tiranno intenzionato a imporre il suo dominio su tutta l'immensa estensione del pianeta gigante.
L'astronave terrestre che trasporta Glystra e i suoi compagni viene infatti sabotata, e si schianta a un'enorme distanza dalla Colonia Terrestre, i sopravvissuti dovranno percorrere 60.000 chilometri prima di potersi ritenere al sicuro.
A peggiorare la situazione c'è la consapevolezza che uno dei componenti della spedizione è un traditore, mentre il sabotatore è riuscito a fuggire dopo lo schianto, e sicuramente è andato ad avvertire i soldati del Bajardum, che sono invece terribilmente vicini.
Ma Glystra non si perde d'animo, e inizia subito la marcia verso la Colonia Terrestre, da cui lo separano foreste, paludi, feroci selvaggi, tradimenti, animali carnivori ma anche innumerevoli meraviglie.
Riuscirà quello sparuto manipolo, al quale si unisce una ragazza locale, la graziosa Nancy, a superare una distanza pari a una volta e mezzo il giro della Terra, in un mondo che la scarsità di metalli ha condannato a una tecnologia primitiva?
L'odissea di Glystra venne inizialmente pubblicato nel 1952 su Startling Stories, e successivamente rivisto per la pubblicazione in volume, pur essendo una delle prime opere lunghe di Vance il romanzo già lascia intravedere molti dei temi che diventeranno tipici dello scrittore californiano.
Innanzitutto la figura di un protagonista eroe suo malgrado, che cerca di portare a termine un compito quasi impossibile, e poi la maestria nel costruire sistemi sociali esotici e affascinanti, a volte davvero molto strani, eppure sempre credibili, abilità che Vance raffinerà sino a portarla alla perfezione nelle opere seguenti.
Colonizzato da decine di piccoli gruppi, composti da fanatici religiosi, spostati, eccentrici miliardari e ogni genere di minoranze a disagio nella pur progredita società terrestre, il Grande Pianeta ospita società eccentriche e diversissime tra loro, dai semibarbarici gitani ai raffinati e snob (almeno in apparenza) abitanti di Kirstendale.
Vance riesce a divertire, suscitare meraviglia e sorprendere il lettore, la grandiosità della monolineare, il particolarissimo sistema alberghiero di Kirstendale e l'attraversamento del fiume Oust sono memorabili, le idee non mancano certo in questo romanzo.
Interessante anche la figura di Glystra, decisamente diverso dagli eroi senza macchia e senza paura, alla Edgar Rice Burroughs, l'esperienza vissuta sul Grande Pianeta lo cambierà inesorabilmente.
Vance non è stato il primo "creatore di mondi" della fantascienza, ma con l'invenzione di un pianeta gigantesco ha aprerto la strada ad autori come Larry Niven e al suo Ringworld, Bob Shaw e la sua immensa sfera di Dyson sino a giungere all'incredibile disco immaginato da Charles Stross in Universo distorto.
L'immensità dello scenario quasi schiaccia i personaggi, come con il successivo Tschai, con il quale L'odissea di Glystra ha numerosi punti in comune, è il pianeta il vero protagonista.
Un romanzo solido e ben costruito, di facile ma non banale lettura, che si può tranquillamente sfogliare sotto l'ombrellone, magari alzando di tanto in tanto lo sguardo al mare, a un orizzonte tanto, forse troppo, vicino.
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