Per chi non se ne fosse accorto, è il momento del fantasy. Un momento che dura già da un po' a dire il vero, ma gli effetti sul mondo dell'editoria non sono arrivati con la rapidità che ci si aspettava. Un po' bradipamente il mondo dei libri si è accorto che il genere fantasy sta tirando di brutto, e nelle librerie e nei supermercati hanno cominciato ad apparire altri volumi, oltre ai normali bancali di Signore degli anelli e Harry Potter ai quali siamo abituati già da un paio d'anni.
Come un re un po' troppo libertino, il buon vecchio J.R.R. si è ritrovato d'un tratto con una innumerevole schiera di eredi. Perché le regole del marketing oggi come oggi decretano che se si vuole vendere un libro fantasy non basta dire "è un libro fantasy bello", bisogna dire piuttosto "ecco il nuovo capolavoro dell'erede di Tolkien".
Sempre sul pezzo quando si tratta di cogliere le tendenze del mercato, la Fanucci vanta nel suo catalogo ben due eredi di Tolkien: quello assoluto, Robert Jordan, e quello italiano, Luca Trugenberger. Saranno fratelli? Se non altro, la loro fantasy ha un suo perché e una sua originalità. Ottime le critiche per il libro di Trugenberger, del quale è uscita una versione anche per ragazzi (forse Trugenberger ha anche qualche parentela di secondo grado con J.K. Rawling).
Se la Fanucci ha un italiano con cognome straniero, il Tolkienino della Fabbri è uno straniero con cognome italiano, Christopher Paolini. C'è da apprezzare, almeno, il coraggio nell'aver voluto mantenere il cognome: solo pochi anni fa un maestro del thriller come David Baldacci in Italia era diventato David B. Ford per evitare che apparisse troppo italiano. E' quasi l'unica cosa da apprezzare: il Tolkienino ha quindici anni e francamente il bisogno di crescere un po' si sente tutto.
Va bene, va bene. Le nostre in fondo non sono critiche: le manovre di marketing di Fanucci a chi legge fantascienza e fantasy da anni possono apparire un po' plateali, ma se lo scopo è quello di attirare nuovi lettori in un mercato che in generale tende alla contrazione va tutto bene. Ci va bene anche di vedere libri di Dick con in copertina l'espressione bovina di Ben Affleck, se questo vuol dire qualche centinaio di nuovi lettori per il nostro genere.
La propria potenza editoriale la Mondadori l'ha spesa puntando su una giovanissima ragazza esordiente, Licia Troisi. Alla faccia di tutti gli scrittori che fanno gavetta, spendono anni a migliorare la propria scrittura, si fanno assistere da editor capaci, scrivono e riscrivono e riscrivono, partecipano a concorsi, e poi finalmente, quando si sentono maturi, lavorano al loro primo romanzo: qui abbiamo una giovane (va be', in confronto a Paolini è quasi una vecchietta...) che comincia subito scrivendo una saga fantasy di mille pagine, la manda a Mondadori tanto per provare e la Mondadori non solo le accetta il libro, ma lo stampa in rilegato in decine di migliaia di copie, fa pubblicare pagine intere di recensione/pubblicità su settimanali come Panorama o quotidiani come Repubblica.
E' quel genere di cose che ai bravi scrittori in genere fa prudere le mani. Ma il libro lo comprano lo stesso, per vedere in cosa loro hanno sbagliato, e dopo averne iniziato la lettura si rendono conto che forse hanno sbagliato proprio il pianeta in cui vivere. Perché forse tutto sommato qualcosa da imparare prima di arrivare alla grande tiratura ce l'aveva anche lei.
Aspettiamo incuriositi e anche un po' preoccupati i risultati delle vendite delle Cronache del mondo emerso. Preoccupati perché ci attanaglia un timore terribile. Quello che alla fin fine un libro di questo tipo possa vendere molto più di un libro di qualità, andando incontro alle aspettative dei piani alti del palazzone di Segrate. Perché la pubblicità comunque ha il suo effetto, qualunque sia il prodotto. E perché abbiamo il sospetto (speriamo con tutto il cuore di sbagliarci) che per vendere davvero tante copie il fatto di scrivere qualcosa che ricorda altri mille libri già letti non importi così tanto, perché la maggior parte della gente gli altri mille libri non li ha letti affatto; perché dettagli stonati e scrittura ingenua, in fondo non vengono notati o forse sono addirittura più congeniali a un pubblico generico poco avvezzo alla lettura.
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