Arno Schmidt. Specchi neri, a cura di Domenico Pinto. Sant’Angelo in Formis (CE): Lavieri, 2009. pp. 117, Euro 14,50.
Alessandro Fambrini, docente di Letteratura tedesca presso l’Università di Trento, è componente del comitato di redazione di Anarres. Tra le sue ultime pubblicazioni nel campo del fantastico, la cura e traduzione di opere di Kurd Lasswitz e Hanns-Heinz Ewers, e dell'antologia Der Orchideengarten (Hypnos, 2016).
Continua la benemerita operazione di recupero di testi di Arno Schmidt (1914-1979), autore complesso e funambolico, sperimentatore e alchimista della lingua e del senso che, non a caso, era rimasto per decenni interdetto al nostro pubblico, salvo gli sporadici tentativi testimoniati da una bibliografia italiana assai avara, almeno fino alle recenti, brillanti traduzioni di Domenico Pinto pubblicate in rapida sequenza dall’editore Lavieri. Dopo Dalla vita di un fauno (2006), Brand’s Haide (2007) e Ateo?: Altroché! (2007, curato da Pinto insieme a Dario Borso), tocca ora a Specchi neri (Schwarze Spiegel, 1951), breve romanzo contemporaneo a Brand’s Haide, con il quale uscì in volume unico in prima edizione, e che ne condivide la costruzione franta, non lineare (ciò che Pinto definisce “prosa atomica nell’età della fisica”), a sancire, secondo la progettazione teorica schmidtiana, l’irriducibilità dei vuoti della memoria e dei buchi della percezione alla linearità fittizia del racconto.
Se simile è la modalità narrativa rispetto a Brand’s Haide, è diverso il meccanismo cui è delegata la rappresentazione degli stessi scenari disseccati e devastati del secondo dopoguerra: qui la quinta di una Germania distrutta è traslata in un apocalittico futuro – nel 1960, una decina di anni rispetto al presente in cui il testo fu scritto – che amplifica negli esiti di un conflitto nucleare la desolazione dell’oggi, per essere trasformata paradossalmente in un idillio che fa degli orrori atomici la tabula rasa necessaria a una riedificazione utopica, sia pure di un’utopia à la Arno Schmidt, centrata sull’io (“Non vedevo esseri umani da cinque anni, e non è che mi spiacesse”, p. 12) e sull’assolutizzazione della letteratura che si sostituisce a una vita deprivata di senso. Siamo all’interno della fantascienza, quindi, e l’accostamento con Philip K. Dick – con cui Schmidt condivide l’interesse per le dottrine gnostiche paleocristiane dimostrato anche da questo romanzo – è meno spregiudicato di quanto sembri: anche se non al Dick di Un oscuro scrutare, come azzarda il risvolto di copertina firmato da Goffredo Fofi, quanto piuttosto a quello cataclismatico e spiazzante di Deus Irae, scritto in collaborazione con Roger Zelazny. Con quel romanzo Specchi neri ha in comune la dimensione itinerante di quest senza oggetto in un mondo in sfacelo, riduzione a sintesi elementare di una condizione umana che ha smarrito ogni bussola e che può mantenersi salda solo a patto di dimenticare una progettualità impossibile, rimpiazzandola con la casualità frammentaria e puntiforme della percezione istantanea.
Così, in Specchi neri la vicenda del protagonista-narratore è la registrazione della sua esperienza, la solitudine di un’esistenza tesa verso la sopravvivenza e riscattata solo dalla letteratura, dai libri che rintraccia nel suo vagabondare e soprattutto porta dentro di sé, e in cui la presenza di un’estranea, una donna che, come lui sopravvissuta, viene dall’est per poi ripartire e scomparire nel nulla, è vissuta quasi come un’intrusione, un episodio a margine di una vita che, come in molta narrativa post-catastrofica, sublima la forzata solitudine in una condizione di onnipotenza solipsistica (“Se tutto filava liscio (?) potevo vagare ancora a lungo per la terra deserta di uomini: non avevo bisogno di Nessuno!”, p. 21; laddove il “Nessuno” scritto con la maiuscola è un riferimento nel gioco di rimandi a Ulisse/Utys, alla cui eroica e solitaria impresa il protagonista-narratore ripetutamente si richiama in un autocelebrativo parallelo).
Verso la fantascienza, del resto, Schmidt ritornerà ripetutamente negli anni successivi, elaborandone gli schemi fino alle vette di Die Gelehrtenrepublik (1957) e soprattutto di Kaff, auch Mare Crisium (1961) e contaminandoli con la grande tradizione narrativa, con il canone della letteratura universale, liquidandone di fatto la dimensione di genere. E alla fantascienza rimanda anche, come dichiarazione di appartenenza e insieme presa di distanza, il violentissimo pamphlet sotto forma di "lettera" che apre la seconda parte di questo testo, vero e proprio centro tematico dell’intera novella, un'appassionata difesa della cultura ellenica rispetto a chi vorrebbe destituire il mondo classico del suo ruolo fondante per la nostra civiltà, redatta come risposta a un articolo di un certo professor George R. Stewart, uscito nel 1948 sul Reader's Digest. In quella che sembra una coincidenza del genere che tanto piaceva a Schmidt, Stewart è l'autore di uno dei romanzi più famosi del filone apocalittico, Earth Abides (1949), che mette in scena le sorti dell' "ultimo americano" sopravvissuto a una spaventosa catastrofe globale, così come Specchi neri s'impernia su quelle dell' "ultimo tedesco": sennonché la circostanza appare troppo clamorosa per essere casuale, in una letteratura come quella di Schmidt in cui il caso ha ben poca parte. A ben vedere, la novella svolge in forma narrativa l’assunto della “lettera” a Stewart ed è, implicitamente, una risposta al suo romanzo: a differenza di quello di Stewart, il superstite di Schmidt non si arrovella, novello Robinson, a ricostruire faticosamente le vestigia della civiltà tramontata, ma si lascia andare quasi con voluttà alle sue macerie, a un destino in cui tornano in primo piano, proprio al modo dei greci antichi, l’osservazione del mondo, la riflessione, la filosofia, senza ricadere nei vincoli della necessità e dello sfruttamento che hanno già segnato il destino dell’umanità (di quell’umanità che la logica da homo faber di Stewart così ben rappresenta).
Passa anche attraverso la fantascienza, dunque, il tentativo di Schmidt di mescolare le carte dell’alto e del basso: nel suo infinito amore per le parole (“Parole, sola cosa che io conosca”, p. 75), l’autore tedesco compie l’azzardo di inglobarle tutte nel proprio abbraccio, certo rischiando, nel suo infinito gioco di rimandi ad altre parole, ad altri libri, ad altre storie, di prendere congedo dalla realtà in una vertiginosa prospettiva di specchi in cui l’immagine reale si allontana e si deforma sempre di più, fino a corrispondere solo ai suoi fantasmi. In Specchi neri, e più in generale nelle opere di questi anni, il processo è appena agli inizi, il piacere della narrazione e dell’affabulazione ha ancora al suo centro una storia e induce senza troppi sforzi quello simmetrico della lettura, per il quale l’ampio apparato di note fornito dal curatore costituisce un ausilio senz’altro utile, ma non necessario. Nello Schmidt degli ultimi anni, invece, costruzioni auto— e infrareferenziali formeranno un complesso inespugnabile al senso cui sarà impossibile accedere da profani e dal quale, soprattutto, sarà quasi impossibile scorgere il piano della realtà condivisa. Le note, allora, prenderanno il predominio sul testo, a segnare il sostanziale fallimento della sua tarda sperimentazione.
Primavera 2012
di Alessandro Fambrini, Salvatore Proietti
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Il ritorno alla materia di Earthsea negli anni Novanta rappresenta un nuovo vertice nella produzione di Ursula K. Le Guin, non meno della classica trilogia degli anni Settanta, e uno dei massimi risultati del genere fantasy negli Usa. Come nella sua SF, emergono il rifiuto delle facili dualità e le ambiguità di ogni promessa utopica, in cui fallibilità equivale ad apertura e ogni equilibrio deve essere instabile. In una revisione femminista, ecologista e anti-individualista dei primi volumi, genere e magia interagiscono in una maniera prettamente laica, permettendo all'approccio politico di affrontare l'ineffabile dimensione metafisica rappresentata dai draghi.
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L'articolo esplora gli ultimi anni della produzione letteraria di Ursula K. Le Guin, come parte di un intertesto più ampio, che abbraccia tutta la sua carriera, prendendo anche in considerazione la posizione dell'autrice all'interno dell'istituzione letteraria italiana e statunitense. Fra i filoni di indagine sono il ruolo della comunicazione narrativa come forme di dialogo e memoria collettiva, l'articolazione della differenza, e le modalità in cui le antropologie aliene e fantastiche di Le Guin, anche negli scenari distopici, proseguono l'elaborazione - con la visione femminista sempre al centro - di modelli "ambigui" e aperti di utopia.
di Vittorio Catani
Cenni sul faticosissimo inizio e relativo cammino, tutto in salita, d'una critica della fantascienza nel nostro Paese fra sostenitori, oppositori, denigratori e acuti - talora anche illustri - osservatori. Ma i nodi della fantascienza italiana ancor oggi non appaiono del tutto risolti.
di Massimo Del Pizzo
Una rassegna della critica italiana - accademica e militante - sui testi classici e formativi della SF francese.
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Considerazioni sul ruolo e sui possibili sviluppi futuri della SF all'interno di un mercato letterario dominato - in maniera crescente - dalla fantasy, o meglio dalle sue forme piu' commerciali.
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La fantascienza tedesca ha un'illustre compagna di strada nella produzione utopica che, di tradizione "alta", nel corso del Novecento s'intreccia con la letteratura popolare e dà vita ad alcune delle sue più straordinarie visioni. In questo articolo se ne ripercorre il filo fino alle soglie del terzo millennio.
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La trilogia marziana di Kim Stanley Robinson aggiorna il genere utopico per l'epoca postmoderna. L'idea di storia (il permanere della sua pertinenza al futuro umano) è la posta in gioco nella complessa rete di alternative esplorate in una narrazione che intreccia scienza, ecologia, filosofia e politica nel tessuto del repertorio della fantascienza.
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Fabrizio Foni. Alla fiera dei mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane, 1889-1932 (prefazione di Luca Crovi, postfazione di Claudio Gallo). Latina: Tunué, 2007. pp. 334, Euro 22,50.
di Igina Tattoni
Paolo Bertetti e Carlos Scolari, a cura di. Lo sguardo degli angeli: Intorno e oltre Blade Runner. Torino: Testo & Immagine, 2002. pp. 283, Euro 16,00
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Valerio Massimo De Angelis e Umberto Rossi, a cura di. Trasmigrazioni: I mondi di Philip K. Dick. Firenze, Le Monnier, 2006. pp. 288, Euro 21,50
di Alessandro Fambrini
Arno Schmidt. Specchi neri, a cura di Domenico Pinto. Sant’Angelo in Formis (CE): Lavieri, 2009. pp. 117, Euro 14,50.
di Fulvio Ferrari
J.R.R. Tolkien. Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, a cura di Wu Ming 4. Milano: Bompiani, 2010. pp. 97, Euro 9.
di Salvatore Proietti